Nel cuore dell’ Oltrepò Pavese, la collina dove sorge la Tenuta Mazzolino ti accoglie con il suo profilo di carena di una nave, che ad inizio estate veste un’esplosione di verde lussureggiante in gran parte dovuto alle viti fitte e rigogliose, ma anche ai frutteti profumati. Sulla strada stretta e tortuosa che si inerpica sulla “chiglia della nave”, il cancello della tenuta si apre su un’oasi di serenità e finezza, le stesse che ritrovo nello sguardo celeste e profondo di Francesca Seralvo, la titolare dell’azienda. La villa padronale ospita la verticale in 10 calici per i 30 anni di Blanc, lo chardonnay di casa, le cui viti sono allevate nelle tre vigne Rivetta, Fontana e Ranzini.
Armando Castagno, che conduce la degustazione, racconta che quando, 6 milioni di anni fa, il movimento della terra provocò la chiusura dello stretto di Gibilterra, il Mediterraneo divenne un lago, e la progressiva evaporazione dell’acqua determinò l’affioramento di dorsali gessose. Ciò avvenne anche in questo angolo di Oltrepò Pavese, dove il sottosuolo, di immediata pertinenza delle piante, è ricchissimo di solfato di calcio – il gesso appunto – che concorre a determinare uno spiccato ph acido nei vini qui prodotti. Il dato non è banale, poiché il ph basso rende questi chardonnay particolarmente vocati alla longevità ed a mantenere, negli anni, una freschezza inconsueta.
2021: corredo odoroso di fresia e gelsomino, susina Claudia e ruta. Mi diverte la pungenza da acqua di colonia. Al palato non è tesissimo, ma la beva è rotonda senza essere burrosa. In bocca è limone candito, mela Golden e pistacchio.
2020: profuma di pietra macinata. Seguono il fiore della magnolia e l’agapanto, melone bianco, pesca tabacchiera e mango, che anticipano la sottile nota di polvere da sparo. Non c’è traccia di vaniglia, noisette, nulla che richiami il gusto internazionale, come il burro o il tabacco.
2019: impronte di frutta tropicale, prima su tutte la papaya, l’impatto olfattivo è rarefatto, un po’ scattoso, molto diverso dal 2018 che invece è un vino zen. Dopo il sorso, libera una deliziosa nota piccante di zenzero.
Il 2018 è stato definito da Armando Castagno un fuoriclasse. Ed in effetti lo è, perché esprime un magico bilanciamento tra sapidità e freschezza. Al naso sprigiona un forte impulso floreale di zagara, vegetale di timo limonato e tè chiaro, accompagnati da una punta stuzzicante di pepe bianco. In bocca vibra per freschezza e persiste per sapidità, rilasciando un affascinante retronaso di albedo e pietra focaia, che lo rende un vino da crostacei. Il meglio di sé lo dà in gola, grazie anche alla lunga persistenza.
2017: da questa annata in poi inizio ad avvertire le note di pasticceria, di crema al limone ma anche di fiori più dolci come il tiglio e il mughetto. Tuttavia al 2017 manca l’allungo, in bocca finisce troppo presto.
2016: Trionfo del giallo, nei fiori e nei frutti: ginestra, fiore del tarassaco, pesca gialla, zafferano, che sfumano sul balsamico della canfora. Al palato è sontuoso, corroborante, con un fondolingua di erbe aromatiche fresche, soprattutto salvia. Mi viene voglia di mangiare risotto alla milanese e finire la bottiglia.
La 2015 e la 2014 sono due annate opposte nel clima e, di conseguenza, nel calice. Nel 2014 le precipitazioni oltre ogni ragionevole previsione fecero sì che in tutta l’Italia vitivinicola gran parte dell’uva venisse buttata; alcune maison, anche blasonate, rinunciarono a vinificare parte dei loro cru. Al contrario della 2015, che invece è stata un’annata piena di sole. Nei due campioni di Blanc corrispondenti, sento la diversa profondità: il 2014 ha un’impronta aromatica di biancospino, ananas e sbuffi di selce. Al gusto è meno esuberante degli altri campioni, ma la sua compostezza lo rende particolarmente affilato.
La 2015 è più profonda, speziata; all’odore mi ricorda quando apro il forno per estrarre la torta di mele appena cotta. Nonostante la maggiore rotondità, anche in questo assaggio continuo ad apprezzare la vena agrumata, che ha accompagnato tutti gli assaggi e che qui assume la veste del bergamotto. Lungo finale di bocca.
2009: eccola la nuance di nocciola tipica dello chardonnay di lungo corso, accompagnata da una leggera affumicatura. Il floreale è più strutturato, ricorda il pistillo del giglio, il fruttato è di mela al forno, pesca sciroppata. In bocca è scorrevolezza e significato, che lo rendono perfetto per la zuppa di cipolle.
2003: le temperature diurne di oltre i 40° per intere settimane consecutive interruppero il ciclo vitale della vite, il che obbligò a vendemmie precoci e velocissime, onde evitare la sovramaturazione delle uve. Appagante il naso di propoli, pappa reale e miele cui fa da contraltare il sorso caldo e complesso, con mille sfumature di frutto giallo e curcuma, di albicocca e ginger. Nobilissime le note di elevage.
Francesca ci riserva un fuoriprogramma sorprendente: l’annata 1998. Ci racconta che hanno casualmente rinvenuto una cassa di Blanc del 1998 svuotando la cantina per procedere ai lavori di ristrutturazione. E di averlo assaggiato solo per scrupolo, in quanto convinti che fosse da svuotare nell’acquaio. Per carità! Dall’assaggio del 1998 si comprende davvero fino in fondo quando un vino è naturalmente vocato alla longevità, quando nasce per invecchiare bene. Profuma di torrone. Di caramello salato e cardamomo, scorza di cedro e mela cotogna, e il profumo che nei campioni di annate recenti era polvere da sparo o pietra focaia è diventato scatola degli elastici. Il sorso è vigoroso, con ampie incursioni di aneto, ribes bianco e pain d’epices. Fotonico.
Tutti i campioni esprimono una spietata sapidità finale e non sono mai sguaiati o spudoratamente esotici. Possono semmai essere esuberanti, ma mirano sempre all’equilibrio e, al netto del 2017, alla lunga persistenza.
La verticale mostra che i Blanc di Tenuta Mazzolino hanno un’evoluzione che è prima di tutto un’affermazione della propria identità. E’ come il cavallo che in estate perde il pelo: il cavallo è bellissimo anche con il pelo invernale, ma quando lo perde si apprezza la sua struttura ossea, muscolare, e la sua eleganza. E così i Blanc della Tenuta Mazzolino: con l’evoluzione perdono le parti fermentative, che rendono gli chardonnay più o meno tutti simili, e affermano la propria struttura e personalità.
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