Certo che pensare all’idea di un pittore estremo, considerato un genio maledetto e poi scoprire una sua passione per la cucina e le ricette della tradizione americana,  un po’ stona. Si forse perché degli artisti si pensa che passino la loro giornata, a parte creare opere d’arte imperiture nel tempo, ad essere perennemente sballati a causa di droghe, alcol ed altri vizi capitali. E sì che di Pollock è quasi un’impresa trovare una foto senza sigaretta in bocca, e la sua fine tragica in un incidente dipese dall’essere ubriaco.

Libro Pollock

 

Poi come nelle favole, la notizia che la nipote trova una sorta libro di cucina che lui utilizzava insieme alla moglie e alla mamma quando decideva di dedicarsi ai fornelli e quindi la pubblicazione dello stesso, con piatti che perlomeno riportino alla sua forma d’arte. E che abbia ispirato cuochi è fuori di dubbio: basti pensare a Gualtiero Marchesi ed il suo “Dripping di pesce”, poi a quello della coppia Sadler Bowerman o quello dei fratelli Costardi. Insomma un riuscito connubio tra piacere della vista e soddisfazione al gusto, con quel pizzico di follia che dà più sale alla vita

Dripping di pesce

LA VITA E L’OPERA DI JACKSON POLLOCK di Elisa Martelli

Lo studio di Jackson Pollock nell’East Hampton è a breve distanza dalla curva in cui si schiantò contro un albero, ubriaco, alla guida della sua auto. Era l’agosto del 1956, un anno dopo l’incidente stradale di James Dean. Pollock aveva solo 44 anni e la sua morte lo consacrò come mito dell’Action Painting, pittura-azione, movimento così definito dal critico Harold Rosenberg per sottolinearne la carica gestuale, energica.

Uomo dal temperamento vulcanico ma ritroso, personalità discussa per gli eccessi d’alcool e per opere che ancora affascinano e scandalizzano facendoci interrogare su cosa sia arte. Famoso per l’invenzione del dripping, letteralmente “sgocciolamento”, ispirato -a detta dell’artista- dal metodo di pittura degli indiani d’America che usavano sabbie dai diversi colori per scopi curativi e divinatori. Grandi tele venivano stese a terra perché l’artista potesse lavorarle da tutti e quattro i lati, girando intorno alla tela così da annullare la direzionalità del dipinto. Usava pennelli, rulli, bastoncini per lanciare gocce o schizzi di colore liquido preso direttamente dai barattoli, a volte misto a sabbia, vetri rotti ed altri materiali. Il suo desiderio era sentirsi dentro l’opera, l’artista stesso ammetterà che solo dopo un po’ di tempo che lavorava ad una tela iniziava ad essere consapevole di quello che stava facendo, per lui il quadro aveva una vita propria che lui cercava di fare emergere, restando in armonia col quadro stesso.

Cercate un’immagine del pavimento del suo studio, all’interno di una casa di legno con un fienile acquistata col denaro anticipato da Peggy Guggenheim: un florilegio dei suoi quadri, opera esso stesso, come se le tracce di colore avessero composto un nuovo quadro sotto ai nostri piedi.

 

 

PollockDidascalia dell’opera: Convergence, 1952, olio su tela, 237,5 x 393,7 cm, Buffalo, Albright-Knox Art Gallery

 

 

 

 

Immaginiamo di avere questa grande tela davanti a noi, oltre 2 mt di altezza per quasi 4 di lunghezza. Immergiamoci nei suoi colori, non solo bianco e nero come in molte opere dell’artista, qui risaltano l’arancio, il giallo, dei tocchi di azzurro, in un armonico bilanciamento di pesi. Pare che questi ultimi colori siano stati aggiunti in seguito da Pollock, che non temeva di apportare cambiamenti alle sue opere.

Eccoci difronte ad un’opera della maturità dell’artista, siamo nel 1952, il quadro è intitolato Convergence, forse questi grovigli di linee e colore più che ad un’idea di convergenza sembrano darci una sensazione di caos, un caos creativo, quasi gioioso, una danza rituale. Pollock non voleva spiegare i suoi quadri, ma lasciarci godere di quei grovigli colorati che parlano alla nostra anima suscitandoci sentimenti a volte contrastanti. Un inno alla vita e alla sua energia primordiale.

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