Non si può dire che la degustazione denominata” Terre da Cabernet”effettuata la settimana scorsa a a Palazzo Taverna a  Roma da 4 produttori, che si sono uniti in un’iniziativa a scopo anche benefico, con il marchio “Wine for Life “, sia passata sotto silenzio. Andrea Gori, il sommelier incaricato di guidarla di fronte ad un folto gruppo di giornalisti(lo so, è un temerario, coraggioso, incosciente..) ne parla lungamente su Intravino, provocando una ridda di commenti, una cronaca puntuale dell’avvenimento la trovate anche in Percorsi di Vino, a cura di Andrea Petrini,  Franco Ziliani, dal canto suo, pur non avendoci partecipato, la critica a prescindere, trovando un comune denominatore negativo  nell’enologo che segue San Leonardo, Regaleali e Castello del Terriccio, Carlo Ferrini, mentre non esprime commenti  su Riccardo Cotarella, l’enologo che segue Montevetrano. Lasciando da parte le dispute ideologiche, che poco interessano il lettore, cerco di sintetizzare quanto accaduto: il professor Attilio Scienza ha fatto un ‘analisi accurata delle caratteristiche del vitigno cabernet sauvignon, dagli albori ai giorni nostri, con una chiosa finale assolutamente provocatoria(in maniera scherzosa, s’intende!) quando ha concluso affermando che il merlot è di sinistra ed il cabernet è di destra(ho visto il Nero traballare alquanto alla notizia:-))). Poi i produttori hanno presentato la loro storia ed il loro vino, degustando l’annata 2005, lasciando poi spazio per vari interventi, mentre veniva servita l’annata 2001. Il risultato è quello di vini che risultano ben diversi l’uno dall’altro, nei quali l’elemento vitigno, che li accomuna, viene in realtà “dimenticato” per le caratteristiche olfattive e gustative che riescono ad esprimere i vini. Si  può discutere se questo avvenga per motivi legati alla maturazione dell’uva e alle pratiche enologiche o per l’influenza del “terroir”, ma di sicuro non si può ritenere che i prodotti si presentino omologati e banali, ne’ tantomeno sgradevoli al gusto o mancanti di finezza ed eleganza: se si ha in mente l’idea del vino “ciccione”, “grasso”, “marmellatoso”, siamo ben lontani da quanto è stato presentato. Inoltre, tutti e quattro i cabernet hanno dimostrato una longevità invidiabile. La discussione, quindi, si sposta non sul lato qualitativo ma su quello di immagine: proporre cabernet sauvignon oggi che tutti sono a santificare il vitigno autoctono può sembrare una bestemmia, anche un atteggiamento snobistico: “ma come” sembra di udire da parte dei detrattori,” tutti affermano che per uscire dalla crisi mondiale bisogna distinguersi per le proprie peculiarità e quindi con i vitigni del territorio, e voi replicate con un vitigno diffuso in tutto il mondo”? A mio avviso, questo è un problema di commercializzazione che può riguardare il singolo produttore, chi compra Sassicaia non si indigna nel fatto che vengano utilizzati vitigni internazionali. Credo che il consumatore ai semplicemente bere vini buoni, magari l’atteggiamento di chi li produce deve essere più popolare: per fare un paragone musicale, togliersi dalle sale da concerto per incontrare il proprio pubblico nei palazzetti dello sport!

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