Alla scoperta del territorio del Gavi, dove sembra che il tempo si sia fermato, ma che grazie alle sue particolari ricchezze vive bene la modernità
Pare che qualche centinaio di milioni di anni fa il territorio dove poi sarebbe sorta New York e la zona dove si produce il Gavi fossero distanti poche decine di chilometri. Lo testimonierebbero gli studi di geomorfologia che hanno rintracciato caratteristiche molto simili nei terreni che ora sono separati da migliaia di chilometri e da tanto mare. La deriva dei continenti ha disegnato storie completamente diverse. Quelle più vicine a noi nel tempo e nello spazio ci raccontano della nascita – nel primo secolo avanti Cristo nei pressi dell’attuale Serravalle Scrivia – di Libarna, una città
lungo la via Postumia che collegava Genova ad Aquileia, un agglomerato importante che contava 6000 abitanti, aveva due enormi porte ma non aveva una cinta muraria ed era ricca del foro, delle terme, del teatro e dell’anfiteatro, di botteghe, di abitazioni e di tutto quello che era utile e bello per un centro abitato dell’epoca romana. Quel che rimane ed è stato rintracciato, studiato e raccolto si trova nell’area museale all’interno del Palazzo Comunale di Serravalle Scrivia e nel sito archeologico: entrambi per la cura, le suggestioni e le testimonianze meritano un’attenta visita (www.libarna.al.it).
Non è affatto improbabile che la vite fosse coltivata fin dai tempi di Libarna. È però del 972 la prima testimonianza scritta sulla viticoltura del luogo, conservata all’Archivio di Stato di Genova: l’affitto di vigneti a cittadini gaviesi da parte del vescovo di Genova. Insomma il vino ha una storia antica che ha modellato con i vigneti tutto il paesaggio della zona, creando un mirabile alternarsi tra filari e bosco, in un contesto di rara bellezza, esteso fino ai contrafforti dell’Appennino che divide e unisce il Piemonte e la Liguria. Gavi è un piccolo scrigno di testimonianze storiche e architettoniche che rimandano alla vicina Genova, i cui commercianti e la cui borghesia cittadina la scelsero come residenza di vacanza. Nei colori, nei palazzi, nel purissimo stile romanico della chiesa di San Giacomo Maggiore si rintracciano i segni di uno splendore un po’ decaduto ma ancora ricco di fascino. I più sensibili alla materialità e ai piaceri gustativi troveranno nei giacimenti enogastronomici locali conforto alla loro curiosità e alle loro papille, a cominciare dalla testa in cassetta, un tipico salume di risulta, presidio Slow Food, prodotto fino a che il clima non diventa troppo caldo dalla macelleria Bertelli, utilizzando la testa del maiale, la lingua, il muscolo e il cuore del bovino, lessati, tagliati, conditi, impastati e insaccati nel tascone, il budello cieco del manzo, e posto e conservato in ambiente molto freddo. Oppure i golosi troveranno piacere nelle ciambelle al Cortese di Gavi prodotte dal panificio Kry e nei tipici amaretti – a base di pasta di mandorle – dell’Antico Caffè del Moro di Enrica Bassano, storica pasticceria dal 1910.
Se il vino è elemento dominante, l’acqua è elemento comunque imprescindibile, anche negli specchi dei laghi della Lavagnina, in un parco protetto di particolare bellezza, o nel piccolo laghetto con pontile e vista sui vigneti di Valditerra, azienda vinicola e bed&breakfast (www.valditerra.it). Bere un loro calice di Rombetta (più complesso ed equilibrato il ‘21 rispetto al ‘22) vuol dire entrare nel migliore dei modi nel mondo del Gavi, il bianco piemontese prodotto da 100% uve Cortese, che è fresco ed elegante da giovane per diventare sontuoso con la maturazione. Sono 1600 gli ettari vitati della denominazione che si estendono nella parte sudorientale della regione, a 30 km dal mar Ligure, in una terra di confine suddivisa in 11 comuni tutti in provincia di Alessandria e amata da 190 tra produttori, vinificatori e imbottigliatori. I vigneti del Gavi risentono sia del clima appenninico sia dei venti che vengono dal mare. Dal 2013 ogni anno il Consorzio Tutela del Gavi, che quest’anno festeggia il suo primo trentennale, affida all’Associazione Italiana Sommelier l’incarico di degustare alla cieca i campioni inviati dalle aziende
per selezionare la bottiglia istituzionale del Consorzio. Questa bottiglia, con un etichetta disegnata da un artista, durante l’anno viene spedita alle redazioni delle testate giornalistiche, è protagonista dei banchi di assaggio internazionali nel corso degli eventi, dovrebbe rappresentare nel migliore dei modi la personalità del Gavi docg. Quella assaggiata durante la cena presso il ristorante Cantine del Gavi – la sobria eleganza delle sale, la suggestione della cantina storica con tanto di nevaio, la qualità delle proposte, l’impeccabilità del servizio renderebbero solo per questo necessario un viaggio a Gavi – è effettivamente la sintesi dell’essenza del Gavi: un vino versatile che si abbina bene con molti cibi, sia quando prevalgono da giovane le note citriche e gli accenni floreali e allora accompagnano bene pesce, verdure, carni bianche e formaggi freschi; sia quando da più maturo prevalgono i sentori più forti del miele d’acacia e della frutta candita per accompagnare al meglio la pasta ripiena e le carni rosse.

La locanda La Raia

Un ospite della Locanda
Un’altra espressione del Gavi è quella de La Raia, tenuta a conduzione biodinamica che comprende i vigneti e la cantina, una locanda con un livello di accoglienza difficilmente eguagliabile, il ristorante con i piatti dello chef Tommaso Arrigoni, inserita in un ecosistema di 180 ettari di coltivazioni, boschi e pascoli che ospitano numerose specie animali; e attraversata da un lungo Sentiero dell’Arte che tocca e consente di ammirare le opere degli artisti che dal 2013, invitati da Fondazione La Raia, hanno letto il territorio, aprendo una riflessione sul paesaggio e sul modo di viverlo e osservarlo, e hanno lasciato una testimonianza della loro esperienza. Tra i vini che producono e che propongono in assaggio, Il loro Pleo Gavi docg ‘21 rappresenta al meglio la ricchezza della viticoltura aziendale: colore giallo paglierino, con riflessi lievemente verdognoli; al naso sentori minerali e aromi di frutta e fiori bianchi; in bocca grande equilibrio, fresca acidità, persistenza e ottima bevibilità, con un’ultima nota leggera di mandorla.
La visita alla Tenuta San Lorenzo (www.tenutasanlorenzo.com), azienda della famiglia Cazzulo che si estende per 18 ettari di cui 14 a vigneto, è l’occasione per una verticale che propone: un Gavi ‘22, banana al naso, in bocca acidità molto bassa con lieve affumicatura; un ‘21 con aroma di agrumi mentre in bocca si percepiscono croccantezza e sapori di frutta matura; un ‘ 20 con al naso lievi note mentolate e in bocca un piacevole retrogusto amarognolo; infine un ‘18 dal colore decisamente più ambrato, con un bel naso di albicocca matura, ananas e resina, molta larghezza in bocca e tracce evidenti di miele di acacia. Con tutti godibilissimo il montèbore, formaggio con latte vaccino e ovino dell’alessandrino.

I vigneti della Tenuta San Lorenzo
Insomma di alibi per venire nel territorio di Gavi ce ne sono davvero tanti: sta a ciascuno di noi indossare il più adatto per scoprire le particolarità di un microuniverso dove pare che il tempo si sia fermato, ma che grazie al vino e alle altre sue ricchezze sa vivere benissimo la contemporaneità.
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