L’ultima volta che ho mangiato il semolino è stato prima di Natale ed il patron del locale se ne è uscito con una frase magica: “Perché dobbiamo aspettare di stare male per scoprire quanto è buono il semolino?”. In effetti, riflettevo, che il mio trauma da semolino deriva dall’operazione all’appendicite subita a 7 anni: me ne servivano in quantità industriali, lentissimo e insapore. L’ho cancellato dalla tavola per riscoprirlo a 14 anni, primo anno di scuola alberghiera, quando imparai a fare gli gnocchi alla romana: l’aggiunta di tuorli d’uovo e parmigiano, il profumo di noce moscata, la cottura nel latte sono stati elementi che ho apprezzato non poco. Ed oggi mi rendo conto che il semolino può essere un grande esaltatore di sapore: una sorta di crema densa dove si può sciogliere lo stracchino, unire delle spezie come il pepe, mescolarci della verdura come spinaci, rape e bietole, piazzarci pezzi di salsiccia o pancetta per dare una carica gustativa. Insomma, un piatto di semolino nutre il copro ma anche lo spirito! Quasi quasi stasera lo rifaccio!

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