Tutti i vini hanno una storia da raccontare, ma Sciornaia di più.

Sciornaia evoca gli storici Supertuscan, quelli dell’aia, ma in realtà non c’entra nulla. E’ caso mai un supertufos, perchè figlio di terre tufacee, maturato in una grotta scavata nel tufo, dove non arrivano acqua né elettricità.

La storia è sintetizzata nella retroetichetta.

Questo vino non esiste, fatto da persone che non lo sanno fare, in un paese che non dovrebbe esistere. Ma allora c’è o non c’è? In termini di legge non esiste, ovvero è del tutto illegale, perchè ottenuto da uve trovate, in una cantina troppo naturale, di proprietà di un Rospo ivi residente da generazioni, fatto da persone troppo se stesse, con strumenti troppo artigianali per rientrare nella categoria vino. E quindi? Chiamiamo in causa la logica, che qualora segua un senso puramente logico, che ammette il vino quale prodotto della fermentazione dell’uva, porta logicamente ad affermare che questo vino invece esiste e lotta con noi. Esiste addirittura in due versioni Sciornaia Rosso (sangiovese) e Sciornaia bianco (trebbiano e malvasia), ai quali, da quest’anno si affiancheranno ben altri due vini “inesistenti”: un bianco macerato e Stridolone, un metodo classico da trebbiano e malvasia, dalle stesse vigne dello Sciornaia bianco, solo vendemmiate in anticipo.

Chi lo fa?

L’etichetta recita persone che non lo sanno fare. Parliamone e facciamo nomi e cognomi. Tommaso Ciuffoletti, Olmo Fratini e Tommaso Furzi: i lucidi sciorni ideatori. Sciorno da cui il nome dei vini, vuol dire matto in dialetto maremmano; per fortuna non siamo a Firenze dove lo sciorno è il grullo, ma un vino chiamato grullaia, avrebbe avuto più problemi anagrafici che legali.

Nella realtà pratica a produrre i vini di Cantina del Rospo è una intera comunità, i 190 residenti di San Giovanni delle Contee nel comune di Sorano. Ognuno partecipa al progetto con i suoi mezzi e capacità: chi cede le vigne abbandonate, chi mette a disposizione la propria cantina naturale scavata sotto casa, chi regala le damigiane, il Bacci che trasporta con l’Ape i bigonci di vino, chi presta il torchio, Andrej l’addetto alla torchiatura, e poi una pletora di assaggiatori, un panel di degustazione che conta tutti i Sangiovannesi, che alla svinatura son pronti a pontificare sulla riuscita del loro vino.

Perché da quando il progetto di Cantina del Rospo ha preso piede, San Giovanni delle Contee, che stava morendo segnato dallo spopolamento, è invece tornato a vivere, grazie al vino, mezzo potente, capace di far scattare una scintilla e riaccendere il fuoco di una comunità. Nel frattempo è nata una cooperativa di comunità che gestisce un ristorante in cui lavorano le donne del paese e un bar, che vede Olmo barista.

Nuove “acquisizioni” per Cantina del Rospo

La prima vendemmia di cantina del Rospo risale al 2018, con 300 bottiglie prodotte, e visti gli esiti positivi di Sciornaia bianco e rosso, che è piaciuto a palati sensibili tra giornalisti, enologi e amici vignaioli, il paese si entusiasma e molti vogliono cedere le loro vigne al progetto: via Tommaso, che la volete piglià quell’uva della mi vigna? E poi c’è anche quell’artra vigna più giù.. E si tratta una vecchia vigna di 80 anni a piede franco, mica bazzecole, pressoché abbandonata, che Olmo e compagni hanno iniziato a risistemare da qualche mese.

La cantina resta sempre la solita, senza elettricità e quindi senza la possibilità di utilizzare attrezzature che prevedano l’uso di energia che non sia quella di mani, braccia o piedi. L’acqua utilizzata per il lavaggio delle damigiane o dei secchi e quella del fontanello della piazza del paese.

Le bottiglie usate da Cantina del Rospo sono tutte riciclate, e quindi tutte diverse tra loro; bottiglie di vini bevuti che andranno ad accogliere altro vino, saltando l’iter attuale di usa e getta, ricicla, rifondi, ricrea una bottiglia identica, quando quella bottiglia c’è già. Ma spesso la logica è antieconomica e quindi si procede spediti in direzione opposta e irrazionale.

Sciornaia bianco 2018

Ha una sorta di grazia naturale verrebbe da dire, visto che l’etichetta recita sia fatto da persone che non lo sanno fare. E’ trebbiano con un po’ di malvasia, siamo ben avvezzi ai sentori di questi vitigni così toscani, ma Sciornaia, c’ha un suo odore, marcante e impressivo, di mela grattugiata, scorza di limone, mandorla. Pulito e sincero. In bocca è ridente e fuggitivo, è il vino del qui e ora, che fugge gli addii carichi di ricordi aromatici, ma ti lascia una piacevole voglia di ridargli una bella sorsata fresca. Non è in vendita, non lo troverete sugli scaffali dei negozi; la produzione va di diritto agli abitanti di San Giovanni delle Contee; se andate a visitare il paese vi danno una bottiglia gratis.

Perché lo scopo resta questo: far vivere un paese, allontanarlo dall’oblio, farlo conoscere anche attraverso un vino che non esiste.

 

 

 

 

 

 

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