Prendo a prestito questa vecchia battuta sul cibo, nata ai tempi dell’affermarsi della “gauche caviar”, un termine nato per indicare i radical chic che certo non mancano nel campo enogastronomico, per riflettere su quanto l’informazione gastronomica sia stata schierata a lungo per fazioni nelle quali non veniva ammesso un pensiero laico, scevro cioè da condizionamenti. Le cose sono in parte cambiate con l’avvento dei blogger, quindi dei social, ma per un periodo limitato, poi si è notato, in breve, lo stesso meccanismo ripetersi.
La suddivisione partitica, oggi, non avrebbe molto senso e, in effetti, non si sta parlando di giornalisti o blogger che seguono una determinata linea politica per avere un pensiero comune: il bello è che ci si unisce per fazioni legate, ad esempio, ai prodotti. I vini solo naturali, gli altri non sono buoni..il sangiovese è perfetto, il merlot è banale; la cucina è solo quella di territorio, quella molecolare fa schifo e via andare.
Approcciarsi ad un vino, ad una pietanza, ad uno chef, a chi volete, insomma, senza avere già un’idea preconcetta sembra quasi un reato: si rischia di essere catalogati come “individualista piccolo borghese”, anche se in questo caso parlavo di un argomento che, in Italia, è più sacro della Chiesa Cattolica.
Per continuare ad utilizzare un linguaggio gramsciano, sarebbe interessante capire anche se esistono gli “intellettuali organici”, relativi al campo gastronomico;: a mio avviso ci sono, sono quelli che non disturbano il manovratore, ossia seguono l’onda, none esprimono nessun tipo di critica e nemmeno raccontano, seguono l’onda. Se va bene per tutti, lo chef è superlativo, se cade in disgrazia da un punto di vista mediatico, non si parla più di lui. E così per il vino e il resto. La mortadella e il culatello comunque, sono radical chic!
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