Cinque città, una sola famiglia, una sola pizza. Che poi non è mica vero, perché alla fine le pizze del Cavaliere, almeno sulla carta del menu, sono tante. Con pochi fronzoli, poca voglia di gourmet o comunque di stupire a tutti i costi, sì, qualche concessione a uno stile personale ma molto nel classico. E non solo pizza: Napoli c’è tutta, con il suo bagaglio di fritti di tante specie – e mica poteva mancare, questo sì, proprio nei fritti un richiamo a Sua Divinità Diego Armando – che formano un carrello da street food di tutto rispetto, fino all’iperclassico babà e ai micidiali angioletti, alla nutella o al pistacchio, micidiali perché… eh no, bisogna provare.
Napoli più che mai, a Firenze, dopo le aperture su piazze blasonate come New York, Milano e Torino. Naturalmente a partire – ecco perché fanno cinque – da via Materdei. Centoventi anni fa, non due mesi: fu proprio lì che il capostipite – perdono, proprio non ricordo il nome – di questa formidabile genìa degli Starita, una leggenda che è tuttora famiglia in carne e ossa, aprì una cantina che divenne friggitoria e che trovò pure gloria in celluloide quando prestò armi e bagagli a Vittorio De Sica e a una strepitosa donna Sofia Loren per “L’oro di Napoli”. Oro di Napoli che adesso Antonio Starita, il Cavaliere – ai vertici di due aggregazioni come i Pizzaiuoli Napoletani e Le Centenarie – che intanto ha degnissimi coadiuvanti e continuatori nei figli Filomena detta Mena e Giuseppe detto naturalmente Peppe, ha portato a Firenze. Sì, è vero, si tratta di un ritorno, si era già affacciato un’estate a sfornar pizze alla Buonerìa, alle Cascine. Ma questo è un ritorno a titolo pieno: un locale suo, con il suo nome, un altro pezzo di Starita a Materdei in via San Gallo, dove si diceva dovesse nascere un altro tipo di locale, e dove di sicuro invece un tempo si noleggiavano le bilance pesaneonati dal Quercioli, i meno giovani ricorderanno. “C’è voluto molto tempo, per problemi legati alla proprietà, ma finalmente ce l’abbiamo fatta”, spiega Roberto, il giovane direttore di sala che guida con piglio pragmatico un team svelto e attento, mentre Gennaro al forno è quello che forma i pizzaioli, ovviamente sotto l’occhio attento di “don” Antonio, che ogni tanto torna a Napoli ma appena può riaccapa volentieri a Firenze, eccome volentieri.
Pochi fronzoli, s’è detto. Antonio Starita, ottant’anni il prossimo febbraio ma gliene dai tranquillamente dieci di meno perché sai che comunque un ragazzo non è altrimenti oseresti anche di più, Antonio Starita appunto di fronzoli non ha bisogno. E’ altra la sostanza cui si affida, e Firenze a dire il vero ha risposto al volo, il tavolo lo trovi ma non sempre così serenamente. Insomma, se hai in mente il trend dei locali di design, entrando qui potresti restare spiazzato: semplice, minimale, funzionale, nell’arredo e negli arredi, però naturalmente senza cadute di gusto, tutt’altro. Poca scelta per bere, tra rossi bianchi e bollicine di Campania, Toscana e qualcosa da nord, e naturalmente birre. Ma anche qui, trattasi di complementi. Il vero protagonista è il forno, anzi il forno e la padella, per accontentare una platea che può arrivare nel massimo del pieno a un’ottantina di coperti.
Forno e padella. Starita è pizzeria, ma come si diceva è anche oro di Napoli. L’oro del fritto: una sinfonia tra genovesine, montanarine, crocché, frittatine di pasta, arancini di riso, fiori di zucca ‘mbuttunat’, le soffrittele e i fraticelli, i battilocchi celebrati da Raffaele Viviani nella Rumba d’e’ scugnizz’, e che se riferiti a una persona non sono certo un complimento. Il corno di Maradona, giusto un corno lungo fritto e ripieno: ricotta, cicoli di maiale che noi chiamiamo ciccioli, pepe nero. E poi la pizza, senza troppe ricercatezze, don Antonio lo ammette candido, “farina 00 e maturazione di 30 ore”, già, maturazione, se vi scappa di bocca “lievitazione” il suo sorriso ironico vi fa capire quant’era buona quell’occasione per evitare una sciocchezza. Tante, s’è detto, la bellezza della Margherita e l’ineffabile goduriosità della “sasicc’ e friariell’”, già, i friarielli, broccoli di rapa stufati in padella con aglio e peperoncino.
Ma c’è la montanara – pizza fritta, però aperta e ripiena – con la ricotta di fiscella, sarebbe il cesto di giunco intrecciato (beh, oggi anche il cestino di plastica bucherellato) che serve per portarla al mercato. E c’è la marinara alla Starita: con pomodoro aglio e origano e in più datterino e pecorino romano, ed è forse quella che meglio esprime le capacità della casa. Il finale si era già anticipato: ma quegli angioletti tuffati nelle creme parlano davvero con i Piani Superiori.
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