La povera Venere non poteva certo immaginare che del suo corpo, gastronomicamente parlando, fosse ricordato solo l’ombelico. Ma visto il successo ottenuto dai tortellini tra la famiglia dei ghiottoni, la dea fece buon viso a tale sorte, pensando, in tal modo, di diventare nobile ambasciatrice di quella che, negli anni futuri, sarà denominata la cucina della seduzione. Un ripieno studiato, ben aromatizzato, racchiuso in un velo di sfoglia, fu per anni lavorato da sapienti mani femminili per destare la curiosità, a tavola, di mariti poco inclini alla grazia e alla gentilezza, e che di fronte a cotanta soave bontà, abbandonavano i modi rudi e maschi, per sorbire, con religiosa attenzione, il brodo dove i tortellini morivano per poi resuscitare in bocca, grazie ad un gusto fine e delicato. L’imbarbarimento dei costumi non ha risparmiato neppure tale alimeno secolare. Visto il successo ottenuto sul desco familiare, pur a prezzo di grossi sacrifici, l’industria si impossessò di tale leccornia, rendendo in un colpo inutile il lungo soggiorno in cucina per la lavorazione. Nella frenesia della vita moderna, non c’era più tempo per preparare un brodo secondo maniera e quindi, accantonata l’ipotesi di sostituirlo con i dadi, oscuri comunicatori cominciarono a far circolare l’ipotesi che solo la panna fosse adatta ad esaltare il sapore della pasta ripiena. Cuochi senza scrupoli, non contenti dell’omicidio perpetrato, infilarono ancora di più la lama nella ferita lacerante. Insieme alla crema di latte, unirono la rucola, il pomodoro, lo speck fino ad arrivare a veri e propri obbrobri, costituiti da abbinamenti fantascientifici, comprendenti salmone, gorgonzola e bacon. Di fronte ad un attacco così massiccio, ai poveri tortellini non rimase che cadere, senza nemmeno gli onori delle armi. Circolano oggi anche versioni di tortellini al nero di seppia: mai colore fu più indicato per celebrare il funerale di un grande della tavola!
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