Viene in mente una scena del film “Amici miei” quando gli amici criticano l’architetto Rambaldi per non avere i sottobicchieri in casa, per capire come rappresentassero una presenza obbligatoria in una casa signorile .
Il materiale più diffuso con il quale vengono costruiti i sottobicchieri è senz’altro il peltro, ma anche l’argento incontra un buon successo. Meno indicato il panno colorato, magari ornato con una fantasia di fiori, solitamente di dubbio gusto. Ad un pianeta diverso appartengono i sottobicchieri di cartone legati alla birra: adatti ad un pubblico giovane, che li colleziona vista la variegata fantasia con la quale vengono disegnati. Obiettivo dichiarato del sottobicchiere “serio”, quello da grandi occasioni per intendersi, è quello di evitare di far cadere le gocce di vino direttamente sulla tovaglia. L’operazione più difficile è quella che prevede di centrare al primo colpo il sottobicchiere, una volta avuta la sventura di alzare per la prima volta il bicchiere. Normalmente, i più imbranati riescono nell’impresa di mancarlo di un soffio e urtarlo con la base del calice, riuscendo così, con un solo movimento, a rovesciare l’intero contenuto del bicchiere sulla tovaglia linda e immacolata.
La goccia evitata diventa così una macchia variopinta che assume un effetto liberatorio per gli altri commensali. Tolti dalla schiavitù dell’inutile oggetto, riescono a convincere i padroni di casa a non cambiare la tovaglia, obbligandoli a riprendere tutta la serie degli orrendi dischetti equamente distribuiti. Utilissimi per il dopocena, nelle compagnie di amici ridanciane, quali comodi posacenere personali, da portarsi appresso in salotto. Lievemente sconsigliati, per questa funzione, i sottobicchieri in panno: presentano effetti collaterali disdicevoli quali puzzo di bruciato e dita scottate.
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