SI può arrivare a dirigere la cucina di un ristorante in tanti modi: con la grancassa, in punta di piedi, facendo finta di niente o facendo in modo che tutti lo notino. Matteo Lorenzini ha scelto il basso profilo per guidare la cucina del Se.sto on Arno, dopo la partenza di Entiana Ozmenzeza, ha fatto trapelare la notizia, tanto per far sapere che stava cambiando per l’ennesima volta cucina, ma poi si è messo in silenzio a lavorare. Un talento puro, uscito da una scuola alberghiera statale come tante, che è riuscita a non rovinarlo, perlomeno a guidarlo nel trovare una strada di cuoco più che promettente. Tanta Francia nei suo sandali, e qualcosa indubbiamente rimane ancora, nelle mani, per dei piatti che, malgrado guardino un po’ di più all’Oriente, trasudino ancora di avvolgenza transalpina. Scuola rigorosa, dura, quella sopportata da Alain Ducasse, anche con se stesso: il lavoro in brigata, pur fremendo e volendo tirare fuori i suoi atout, riesce a gestirlo bene. Poi la splendida follia de Le Tre Lune a Calenzano, tre ragazzi: lui, Ilaria Di Marzio, Tommaso Verni, una band che suona per una sola stagione, quelli del 45 giri di successo e via: non è colpa loro, c’è una stampa che li usa invece che farli crescere, che se ne appropria per fare a gara a dire chi li ha scoperti, che li gasa, che li innalza, salvo poi abbandonarli al momento del tonfo. Che storia: prendi la tua prima stella Michelin ed è già finito tutto, lo sai quando ti metti quella giacca della vittoria, quando ti confronti con i tuoi colleghi, quando ancora i giornalisti , magari gli stessi, ti chiedono i tuoi progetti ..e tu senti il bisogno di andare via, di scappare, c’è fame di vuoto, di calma, di riflessione. Poi l’occasione del ristorante Seta del Mandarin Hotel a Milano. Antonio Guida, quale tutor d’eccezione, chef capace dal carattere splendido, la responsabilità del ristorante gastronomico quale sous chef ma poi niente..ancora una volta vince la voglia di cambiare, di scappare dalla grande città, tornare a Firenze, la sua casa e confrontarsi con un nuovo pubblico. E pace se lo chef non ci rimarrà bene, la fame di crescita è sempre lì che consuma. Si inizia con una transizione, i suoi piatti e quelli di Entiana che vanno ad essere sostituiti poco a poco, la brigata fatta da giovani che lo sostengono : qualche indecisione, un carpaccio non richiesto quando l’inizio è deputato al pesce, dove le capesante dorate con castagne e lime fanno la loro bella figura, dove l’astice con radici, topinambour e scorzanera gioca bene la sua fragranza e consistenza. Il risotto con nero di seppia e sfoglia di calamaro regala sensazioni vibranti: divertente, gustoso, piacevole, complesso. L’anatra di Barberie al sapore di BBQ, fegatini e crema di indivia è lo spleen francese, non affascina, è lì, sicura, tranquilla, senza emozione. Botta di vita con la mousse di arachidi e cioccolato, finalmente fuori registro, non consueta. Poi la vista aiuta in una città che di notte è affascinante come il giorno, dove la brigata di sala si deve ancora abituare al nuovo chef, ma insomma, il futuro non può attendere, c’è bisogno di correre..
I commenti sono chiusi