Salvador Domènec Felip Jacint Dalì i Domènech nasce a Figueres in Catalogna nel 1904. Nove mesi prima il fratello maggiore, Salvador, era morto di meningite, ed i genitori lo trattano quasi fosse una sua reincarnazione, chiamandolo con lo stesso nome.
Dalì viene iniziato presto al disegno, tanto da tenere una prima mostra a soli 16 anni. Amico del regista Buñuel e dello scrittore Garcìa Lorca, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Madrid, ma nel 1926 viene radiato prima di sostenere gli esami finali: aveva affermato che nessuno nell’istituto era abbastanza competente da esaminarlo! Lo stesso anno visita Parigi per la prima volta, dove incontra Picasso, artista che ammirava molto, grazie all’amico Mirò entra poi in contatto con i Surrealisti. Pur essendo considerato uno dei principali esponenti del Surrealismo – movimento artistico d’avanguardia che mette al primo posto l’inconscio nella creazione di un’opera artistica, letteraria o cinematografica – manterrà sempre un distacco altezzoso verso gli altri artisti, per poi essere espulso dal movimento nel 1934. Bugiardo e pauroso, Dalì saprà costruire sapientemente una maschera che porterà sempre, mescolando arte e vita. Lo caratterizzeranno i suoi baffetti all’insù – ispirati a quelli del grande pittore spagnolo Velázquez – e gli eccentrici comportamenti esibiti in pubblico. Breton conia per lui il soprannome “Avida Dollars”, anagramma di Salvador Dalì.
Si innamora di Gala, moglie del poeta Paul Éluard, che diverrà poi sua moglie, in un’unione aperta perfettamente riuscita. Nel 1940 i due si trasferiranno a New York dove l’artista sarà accolto con grandi onori, qui disegnerà il famoso telefono-aragosta ed avrà numerose collaborazioni (Hitchcock, Disney) e mostre prestigiose.
Gala – di 11 anni più vecchia dell’artista – si spegne nel 1982, Dalì perde la gioia di vivere e pochi anni dopo muore d’infarto (1989), aveva 84 anni. La colonna sonora della sua dipartita sarà il suo pezzo di Wagner preferito: “Tristano e Isotta”.
L’olio su tela Le tre Sfingi di Bikini (1947) si trova oggi (significativamente) a Fukushima, in Giappone. L’artista attraverso quest’opera esprime la propria opinione riguardo gli esperimenti nucleari condotti dagli Stati Uniti nell’atollo Bikini (Micronesia) che contaminò l’intero sistema dell’isola. C’è chi interpreta le sfingi come l’intelligenza, posta in primo piano, la Natura al centro e sullo sfondo il potere dell’uomo. Pur restando un’opera enigmatica, Dalì ha trasformato il dramma di un fungo atomico in una testa con riccioli bianchi fatti di morbide nuvole sopra ad un collo liscio che, a sua volta, rimanda alla bellezza e alla resilienza di un albero.
Fin dall’opera La persistenza della memoria del 1931 (oggi al MOMA), il tema del tempo che passa inesorabilmente ha interessato l’artista. In modo più prosaico, pare che questa “mollezza” sia stata ispirata da quella del formaggio camembert osservato sciogliersi in un giorno di forte emicrania…La tela intitolata Soft Watch Exploding in 888 Particles after Twenty Years of Total Immobility è del 1954 e si trova oggi in una collezione privata. Se i suoi cosiddetti “orologi molli” segnavano ancora il tempo, pur avendo perso la loro solidità – dopotutto la percezione temporale è soggettiva, come ci ricorda la teoria di Einstein, il tempo non è fisso, ma relativo – qui perdono i numeri, si disintegrano, esplodono in una miriade di particelle. E quando? Dopo 20 anni di totale immobilità ed apparente normalità, come quando un chiodo cede dopo decenni di onorato servizio ed un quadro cade a terra, così all’improvviso, proprio ora in questo preciso secondo. Così le ore con Dalì volano via assieme ai numeri, ai minuti, alla vita. Per la sua pittura l’artista parlava di “metodo paranoico-critico”: le immagini nascono dal suo inconscio e prendono forma grazie alla razionalizzazione di questo delirio onirico. In basso a destra una veduta marina, forse la scogliera di Port Lligat, dove l’artista aveva una casa. Spagna che tutt’ora custodisce la sua memoria, a pochi passi da dov’era nato.
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