Fa sempre un certo effetto sedersi per l’ultima volta al tavolo di un ristorante, frequentato in maniera costante, del quale conosci lo chef, lo staff, l’ambiente, sapendo che tra poco tutto quello che vedi non ci sarà più: scorrono le immagini nella testa e ti ricordi il giorno dell’inaugurazione, con una quantità di persone incredibile, dove tutti spintonavano per sedersi accanto a Matteo Renzi e Alessandro Baricco e decidevi che forse, la cosa migliore per quel giorno sarebbe stata andare fuori a mangiare. Ripercorri le antiche scale del palazzo, e ti chiedi se non è stato anche quello uno dei motivi: è abituato un fiorentino ad entrare dal ristorante al primo piano passando da un’entrata laterale? Di sicuro non lo è per passare tra gli scaffali di un supermercato. Una volta entrati in sala però, la vista sui palazzi circostanti non era davvero male, mancava un dehors per l’estate, d’accordo, ma in un ristorante top si può anche evitare. Poi pensi ad Enrico Panero e alla sua storia, dal Piemonte al Giappone, passando per Genova, per approdare ad una delle città più difficili in campo professionale: gli attori di teatro temono sempre Firenze, una piazza un po’ snob, tendenzialmente non accontentabile ed anche per i cuochi, dotati di estro e personalità, che non vogliono ripetere la cucina toscana di tradizione, deve essere allo stesso modo. Enrico nella sfida si è lanciato senza rete, e anche senza paracadute, ha creato da zero una brigata che è riuscito a far viaggiare bene, si è impegnato nel creare eventi, conoscere gli altri cuochi su piazza, collaborare con tutti, però è stato come tenere una Ferrari nel garage,
inutile averla se poi sta ferma. Quelle maledette scale nessuno le voleva salire, poi mettiamo un arredamento mai convincente, dei bagni da incubo per il sistema di chiusura porte da rimanere intrappolati(:-)..Forse non è scattato il feeling con la città, che via Martelli, se pur pedonalizzata, l’ha proprio rifiutata: un grande successo di critica, per Enrico, ma non di pubblico, solo gourmet o aspiranti tali, di passaggio in città o residenti, è mancato il consumatore “normale”: che si è perso piatti come la tartare di fassona con verdure crude semplice e deliziosa, un suo piatto diventato classico come l’uovo fritto, declinato a seconda della stagione, nell’ultimo caso con la salsa di broccoli. Non ha assaggiato uno dei piatti simbolo che può tranquillamente rimanere negli annali, un risotto alle animelle semplicemente strepitoso. Che dire poi di una entrecote rigorosa e lineare, ma anche di stuzzichini iniziali mai banali? E’ la classica cucina che ti prende e ti fa scegliere un vino che sia semplice e tranquillo, per concentrarsi meglio sui piatti. Ora Enrico sta già pensando e riflettendo sull’esperienza romana, l’apertura dovrebbe essere in tempi brevi, l’entusiasmo è ripartito a mille. Certo vedere un giovane che ha sempre la testa puntata al futuro è emozionante..
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