Inutile disquisire sulle lievi differenze esistenti tra trippa alla fiorentina, o quella alla parmigiana, o ancora quella al sugo, potremmo rischiare di non affrontare la questione di petto. Ci possono essere centinaia di ricette di trippa, e lo sa bene il mio amico Indro Neri che ne è uno dei più grandi comunicatori, e che nei suoi libri e nel suo blog le raccoglie con grande attenzione. Qui cerco di far capire come la preparo io: nessuna aggiunta di verdura in accompagnamento, la trippa va mangiata da sola con il pane, con quel lieve senso di straniamento finale dato dall’essere satolli.

Trito finemente cipolla, aglio, sedano e pochissima carota, e faccio rosolare il tutto in tegame, aggiungendo foglia di alloro e salvia. Subito sale e pepe, e poi rosolatura molto accesa, con grande attenzione nel farlo cuocere a fondo. Poi la trippa: il soffritto la deve avvolgere,non subirne la presenza. La lascio cuocere da sola, girandola spesso, perché non si attacchi, e quando inizia bagno con il vino bianco. La quantità è quella per farla staccare dal fondo della padella, poi unisco del pomodoro pelato, che ho passato e fatto bollire a parte, con dentro della cipollina fresca tritata, non soffritta. La cottura avviene lenta, e se proprio occorre, metto il brodo, ottenuto solo dalle ossa,piuttosto gelatinoso. Sul finale aggiungo parmigiano e pecorino nella stessa quantità, quindi un po’ di burro. Il tempo del riposo è quello per farlo sciogliere. Giro per far incorporare aria e rendere il tutto cremoso. Accompagno con pane toscano e un rosso

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