Qualcuno ha aperto locali chiamandoli “Trattoria Moderna”, “Futura Osteria”, “Trattoria contemporanea” riferendosi ad un passato radioso da far resuscitare. Invece voglio partire dal fondo e capire cosa era la trattoria del passato: il mondo ideale che abbiamo rinnegato?Il paradiso terrestre dei gastronomi? O luoghi nei quali la fatica era tanta e a volte anche mangiare diventava un’impresa? Insomma, mi piace capire la realtà e non vivere solo di un glorioso passato troppo speso idealizzato. E quindi la prova la si fa in una vera trattoria ruspante, condotta rigorosamente al femminile, un gineceo ben organizzato, dove nemmeno una ferita ad una mano con tanto di punti di sutura ferma la titolare dall’effettuare il servizio quotidiano. Che poi è solamente a pranzo, la sera bisogna stare in famiglia. ed una volta non era sicuramente per il tepore familiare, c’era da sbrigare le “faccende” di casa, che non era sicuramente il marito a svolgere. Si entra in un corridoio con i tavoli ed i commensali a mangiare, in fondo la cucina, nessuno in sala e l’avventura comincia nel trovare qualcuno a cui rivolgersi. Stare impalati aspttando Godot…una volta intravisto nessun saluto ma un semplice “Ora arrivo!”. Non sto parlando di maleducazione, solo un dare priorità ad altri aspetti, non certo quello di accogliere il cliente. Oggi se ne parla tanto della cura dell’ospitalità, ma per decenni è accaduta questa scena a migliaia di persone. Poi  uno viene fatto accomodare al tavolo, scorgendo cartelli che avrebbero dell’umoristico ” Oggi non funziona il bancomat” e “Non si rilasciano fatture per motivi tecnici” che sono lì da tempo e fanno capire che non si ha tempo da perdere con gli avventori di passaggio su quisquilie fiscali. Il menu è inesistente, a voce la domanda è “Che si mangia?” a cui segue il silenzio con sguardo interrogativo. Uno chiede cosa c’è e la risposta immediata è “L’antipasto”: nuova pausa da grande attrice da parte della signora, probabilmente la titolare vera per diritto di anzianità . Provo a chiedere in cosa consiste e ricevo uno sguardo stupito e una risposta che mi fa sentire giustamente uno stupido” E cosa vuole ci sia nell’antipasto: affettati e crostini!”. In effetti non ero entrato nel mood dell’ambiente, poi però mi sono messo al gioco e non potevo rinunciare alla pasta ripiena, alle tagliatelle con il ragù d’anatra con il sole cocente,all’arrosto di agnello con piselli, al lombo di maiale fatto a spiedino, al misto forno di verdura. Le patate? Non ci sono! Ma come, con l’arrosto e tutto non ci sono le patate? Lo sguardo è di quelli significativi: oggi la cuoca non le ha fatte e allora? Parte l’elemento nostalgico, i vassoi di metallo ovali che nemmeno nelle scuole alberghiere si trovano più, i piatti Ginori pesantissimi e robusti, i bicchieri a gottino. Ah, è vero il vino? Parte la frase che è entrata nell’immaginario collettivo “Bianco o rosso?” e si depone le armi immediatamente di fronte alle bottiglie allineate in bell’ordine al caldo sullo scaffale. La scelta non esiste, e diventa naturale affidarsi ad una tranquilla Moretti ghiacciata da 66 cl. Il caffè meglio prenderlo al bar della stessa piazza di paese, ma è il conto che poi fa rilassare e mettersi alle spalle la sensazione di pienezza, lo sguardo obnubilato e assorto da accumulo di grassi, la beatitudine di aver assistito da un pezzo di teatro da strada del mondo che fu

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