Gli anni Settanta ci hanno portato appresso alcuni ingredienti e alcune ricette dure a morire: la salsa rosé è una di quelle. Nata durante l’affermarsi delle pizzerie con annesso uso spaghetteria, trova la sua realizzazione per condire penne o mezze penne, magari farfalle, che spesso finiscono irrimediabilmente a scuocersi in una salsa grassa e densa. Non contenti di aver già creato l’abominio di mescolare la panna alla salsa di pomodoro, ecco che cuochi dotati della voglia di stupire con poco, iniziano a proporre le varianti più inusitate. Essendosi accorti che spesso il sapore diventava eccessivamente dolciastro, quindi stucchevole, alcuni di loro iniziano ad utilizzare salsa piccante. Non contenti, altri reagiscono cospargendo la pasta ancora in padella con il parmigiano, provocando di fatto un ammasso grumoso dal sapore deciso, che abbisognava di litri di birra per essere deglutito. Chi tentò il tocco esotico mescolando pancetta, o bacon o, ahimé, speck, alla salsa in cottura fece innalzare a livelli proibitivi il colesterolo nel sangue degli avventori. Infine, non poteva mancare il tocco di prezzemolo con le penne ancora in padella che regalava quel tocco di amaro che tanto necessitava. Ci fu anche chi, ignaro delle conseguenze, innaffiava la pasta con goccio di cognac, tentando alfine di fiammeggiare azzerando così definitivamente il sapore. L’utilizzo della salsa rosé nei tortellini sancì, senza altra discussione, che il suo impiego poteva essere definito a tutti gli effetti, un crimine contro i buongustai. La sua scomparsa dalle cucine di ogni ordine e grado rappresenterebbe un grande passo per l’umanità mangereccia.
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