Non immagino certo scenari terribili, di ristoranti per chi è a dieta, che si deve pesare prima e dopo il pasto per capire quanto è ingrassato: sarebbe terrorismo psicologico e renderebbe triste il commensale. Una domanda che oramai si perde nella notte dei tempi è quella relativa alla bilancia quando viene venduta la merce a peso. Dal salumierie così come dal fornaio, dal macellaio o dall’ortolano si guardino bene di non pesare un prodotto, i clienti sarebbero immediatamente a protestare a gran voce; ma, così come sono combattivi nel fare la spesa, arrivati al ristorante depongono le armi e si affidano. Accade con il pesce, con la carne o con il tartufo: solo per quest’ultimo è oggi sempre più diffusa la bilancia da tavola, ma per gli altri prodotti ci si deve affidare all’onestà del ristoratore. Ora, sarà un caso che l’annuale articolo su Venezia o Roma con i turisti giapponesi “truffati” sul conto, riguardi sempre un piatto con il prezzo indicato all’etto? Sicuramente non c’è interesse a risolvere la questione, altrimenti poteva essere trovata una soluzione: una bilancia che mette scontrino con il peso, posta in bellavista sul bancone e tutti gli animi si sarebbero acquietati. Anche perchè è comprensibile che si tratti di prodotti il cui prezzo varia anche giornalmente e quindi può diventare difficile tenerli in carta sempre ad un prezzo prefissato, anche se c’è chi lo fa, con grandi sofferenze, da un punto di vista economico. Ed invece, rimaniamo in attesa del solito articolo strillato su scampi o aragoste venduti a peso d’oro. Proteste sulle acciughe o sul lesso rifatto non sono ancora pervenute
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