Girando per le campagne toscane, non sono rari i casi nei quali si sente vociferare , magari durante una cena, di quanto sia buona la carne dell’istrice, detto anche porcospino. Sarò forse il secondo nome che ispira la fantasia popolare, nel giudicare un bocconcino prelibato il poterlo gustare. Che rappresenti un consumo totalmente voluttuario, lo dimostra il fatto che non è un animale in sovrannumero, come può capitare con il cinghiale. Più facile che un cacciatore, durante una battuta, se non riesce a portare niente a casa, lo preferisca come preda. Il sapore sembra sia come quello della cacciagione da pelo, sufficientemente magro e quindi risulta migliore se cotto in umido o come sugo per condire la pasta. Gli esemplari maschi, secondo la vox populi, sono disgustoi all’odore ed è quindi da preferire l’esemplare femmina, scoperta che viene fatta solamente dopo l’uccisione. Certo che un contadino che si trova il campo visitato da un esemplare di porcospino tanto contento non è, poiché è difficile da stanare ed è quindi facile immaginare che la caccia sia iniziata proprio per questo motivo: Trattorie compiacenti nel cucinarlo si trovano eccome, in Toscana non è raro trovarle in Maremma: ma ne vale davvero la pena?
I commenti sono chiusi