Ha colpito molto, la telefonata della signora anziana che da un paesino dell’Emilia dicendo che ha pronto il brodo e i tortellini, auspicando che possano essere di conforto. Già, conforto, una parola che gli americani amano usare per il cibo: “Comfort food”, il cibo di casa, quello che riconosciamo come nostro, che ci accompagna nella mente e lo troviamo sempre al ritorno dei viaggi. Il ricordo della mamma che ci faceva bere il brodo caldo al ritorno della gita in montagna, che magari all’epoca odiavamo e che ora troviamo incredibilmente piacevole. Un gesto affettuoso, che nelle tragedie serve a dare quel momento di tranquillità, per non pensare a cose impossibili da tenere in mente , per non piangere e cercare di reggere alla tensione. “Non c’è più bisogno di cibo” avverte la Protezione Civile, forse anche il sangue è sufficiente, ora c’è bisogno di soldi, progettazioni serie e forza lavoro: un’idea buona sul modello da adottare è questa, che si rifà al Friuli. In questo caso, essere ad Amatrice rende il cibo ancora più importante sul proscenio mediatico, lo dimostrano le iniziative legate proprio al piatto simbolo del paese, l’amatriciana, che diventa un volano per la raccolta fondi. E si chiudono gli occhi e si pensano alle tendopoli, alle persone che hanno perso tutto e che hanno quei tre momenti della giornata , colazione, pranzo e cena, che li radunano, come fossero una grande famiglia, attorno alle cucine da campo montate per l’occasione. Il piatto caldo diventa simbolo del dono, dell’amore quotidiano, del calmante di uno stomaco rivoltato, del ritrovo delle persone per avere coraggio, quello che serve a combattere qualcosa di più grande e inumano.
Credits aostafood24.it
I commenti sono chiusi