La domenica era dedicata al pollo allo spiedo: non arrosto, non in tegame, allo spiedo. Mia madre aveva una fissa, quella di metterci un limone all’interno: non che la cosa mi facesse impazzire ma l’accettavo. Era il condimento che mi piaceva: aglio, salvia, rosmarino sale, pepe e….qualcosa che non mi ha mai detto e mai rivelato: faceva la differenza. Cottura prima lenta, poi decisa: il pollo non si risecchiva, non diminuiva di volume, non si accartocciava, rimaneva pieno e gonfio come quello delle fotografie. Sotto le patate intrise di grasso del pollo e di olio, per me un po’ morbidine: da grande le ho fatte come mi piacciono, croccanti fuori, ma rimane il ricordo delle dita unte. Quando mangiavo la coscia, godevo: letteralmente rubavo la pelle a mia sorella e divoravo quella carne saporita e mai dura: E quando la mattina della domenica passavo di fronte alla rosticceria, con il vassoio di paste in mano, guardavo i polli della rosticceria e sogghignavo: troppo più buono il mio pollo.

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