L’uva simbolo di Borgogna è protagonista della rinascita vitivinicola di alcune zone della nostra regione
Per pura combinazione, per scelta o per costrizione, il pinot nero ha trovato casa in Toscana. Quelle zone dove il sangiovese non poteva dare buoni risultati (per l’altitudine, per l’esposizione, per il clima, per le caratteristiche del terreno) sono diventate le più adatte alla coltivazione e al miglioramento di un vitigno che affascina i wine lovers perché dà vita a vini di piacevolissima beva e dai profumi intriganti. L’uva simbolo di Borgogna diventa così uno dei protagonisti della rinascita vitivinicola di questi territori. Nasce da un grappolo così compatto che pare una pigna, ma offre acini delicati, sensibili, con buccia sottile e poco colore. Affascinante, sottile e trasparente eppure energico, profumato, si adatta al luogo in cui cresce e ne trae le caratteristiche migliori, è difficile da allevare e vinificare, per questo forse attrae e consola gli appassionati. Dopo Alto Adige, Trentino, Appennino marchigiano e Oltrepò Pavese (dove viene perlopiù utilizzato per fare spumanti), il pinot nero italiano parla bene con l’accento toscano.
Giovedì 16 maggio otto pinot neri di altrettante aziende toscane verranno presentati a Villa Olmi nel corso della degustazione guidata da Leonardo Romanelli.
Nell’azienda agricola Baracchi, che si estende sulle colline della Valdichiana vicino a Cortona, si produce vino dal 1860. Sangiovese, Syrah, Merlot, Cabernet, Trebbiano e Pinot Nero sono le uve coltivate nei 30 ettari di vigneto situati in quattro distinte località, ma tutte all’interno della DOC Cortona. Le operazioni nei vigneti sono tutte svolte a mano e curate con attenzione, affinché ognuna delle piante produca solo pochissimi grappoli di grande qualità. Riccardo Baracchi ha voluto unire alla produzione di grandi vini le attività di ospitalità, ristorazione e centro benessere.
Il caso ha giocato un ruolo fondamentale nella storia della Marchese Pancrazi. Infatti negli anni ’70 quando il Marchese Pancrazi volle reimpiantare i vigneti della azienda di Bagnolo, nel comune di Montemurlo, incorse in un errore da parte del vivaista che fornì, al posto del tradizionale Sangiovese coltivato in queste zone, del Pinot Nero. Dopo qualche anno, a fine anni ’80, grazie all’intervento dell’enologo Nicolò D’Afflitto, ci si accorse dell’errore e compreso il potenziale dato dal territorio si convertì decisamente la produzione a Pinot Nero. I cinque ettari di vigneti sono impiantati su terreni di origine vulcanica ai piedi del Monte Ferrato.
Colle Bereto, non lontano da Radda in Chianti, è un incantevole borgo le cui origini risalgono all’XI secolo; più di trent’anni fa è stato scelto dalla famiglia Pinzauti per avviare un’avventura vinicola che ha finora dato risultati lusinghieri. Le ristrutturazioni nel corso degli anni hanno soprattutto mirato alla conservazione dell’identità architettonica esistente e alla sua armonizzazione con i vigneti, gli oliveti e la macchia boschiva che circondano il borgo, 60 ettari in tutto, di cui 15 vitati poco copra i 500 m slm: terreni ideali per la produzione di Sangiovesi e di altre varietà come il Pinot Nero e il Merlot.
Fontodi si trova nel cuore del Chianti, nella vallata che si apre a sud di Panzano denominata Conca d’oro, zona di elevata altitudine, con terreni galestrosi, grande luminosità e un microclima caldo, asciutto e di ampia escursione termica. Appartiene dal 1968 alla famiglia Manetti, dedita da secoli ad un’altra attività tipicamente chiantigiana: la produzione delle celebri terrecotte. E’ un’azienda biologica certificata e si estende per 130 ettari, che nelle parti coltivate vengono concimati utilizzando un compost prodotto dall’unione dei residui di potatura e del letame proveniente dall’allevamento di chianine presenti in azienda.
Fèlsina per gli Etruschi voleva dire stazione di posta, di ospitalità. Oggi è un accogliente luogo del vino, un’azienda simbolo per tipo di produzione e legame con il territorio. Conta circa 550 ettari, di cui 94 vitati, con 7000 alberi d’olivo; è guidata da Giovanni Poggiali, impegnato, insieme alla figlia Caterina, a produrre rossi che hanno un legame fortissimo con il territorio: siamo a Castelnuovo Berardenga, dove finisce il Chianti e inizia la campagna senese
Il Podere Fortuna si trova nel Mugello, 25 chilometri a nord di Firenze, ai piedi dell’Appennino toscoromagnolo nel fondovalle del fiume Sieve, 31 ettari caratterizzati da un’esposizione e un clima che causano un ritardo vegetativo di un paio di settimane rispetto ad altre zone vinicole collocate leggermente più a sud. Nell’azienda, la cui produzione di vino è documentata agli Archivi Medicei di Firenze fin dal 1465 quando la proprietà era di Lorenzo il Magnifico, si sono quindi create le condizioni migliori per la produzione di pinot nero, coltivato in circa sei ettari di vigneto e reso fruibile in circa 25mila bottiglie l’anno.
Podere della Civettaja. L’azienda è piccola, meno di tre ettari in Casentino, a 400 metri di altitudine; anche la cantina è piccola; passione e tenacia di Vincenzo Tommasi e Federico Staderini sono invece grandi. Hanno comprato questo podere nei primi anni Duemila e hanno piantato uve di pinot nero provenienti dalla Francia, le sole forse in grado di crescere e di dare buoni esiti a queste altezze e in queste zone, come testimoniano i tentativi dei soldati napoleonici all’inizio dell’800 e di pochi altri pionieri un secolo dopo. Poi più nulla o quasi. Fino a quando Vincenzo e Federico ci hanno riprovato, mettendo in atto un modello di produzione che parte dalla viticoltura biologica, passa dalle fermentazioni spontanee in tini di cemento e dall’assenza di chiarifiche e filtrazioni, e approda per ultimo all’affinamento in barriques usate.
Podere La Madia è una azienda certificata biologica a conduzione familiare, situata alle pendici del massiccio del Pratomagno, in provincia di Arezzo. Fino dall’inizio dell’attività, dalla metà degli anni ‘90 quindi, non si è mai fatto uso di concimazioni o trattamenti chimici. Si sviluppa su circa 10 ettari, di cui 7 di olivete e 3 di vigneti, nei quali crescono soprattutto uve di Malvasia Bianca Lunga, Sangiovese, un vecchio clone di Sangiovese detto Sanvicetro o Sangiovese Pianurino e Pinot Nero, tutte raccolte manualmente. Tutto il ciclo produttivo si svolge con i dettami della agricoltura biologica. La concimazione del vigneto, quando ritenuta necessaria, avviene con il sovescio di leguminose e compost prodotto con i residui della potatura. Del Pinot Nero vengono prodotte solo poche centinaia di bottiglie per un consumatore attento e curioso che sappia apprezzare e valorizzare le caratteristiche di questo vino.
Su un piccolo pianoro tra la Val di Sieve e il Mugello, nel territorio del comune di Dicomano, sorge Frascole, piccolo borgo di origini medievali nato su costruzioni preesistenti di epoca etrusca e romana, circondato dai vigneti e dagli oliveti dell’omonima azienda agricola. La produzione è concentra soprattutto sui vini che cadono sotto la denominazione del Chianti Rufina e sull’olio extravergine di oliva. Tutta l’azienda è condotta dal 1998 con il metodo di coltivazione biologico. In anni ancora più recenti in questa terra ruvida e dolce al tempo stesso è stato messo a dimora con passione il vitigno di pinot nero, che ora è alla base di un vino di cui è uscita la prima annata nel 2018.
Nel corso della degustazione verrà offerta una selezione di salumi di mare proposta dall’artigiano del gusto Shark.
L’appuntamento è dalle 19.20 di giovedì 16 maggio a Villa Olmi Resort, via degli Olmi 4/6, Firenze. La degustazione di 8 pinot neri, guidata da Leonardo Romanelli, avrà inizio alle 19.45. Un’ora dopo cena gran buffet e degustazione degli altri vini presentati dai produttori. Il costo è di 30 euro a persona per la degustazione guidata, la cena e gli assaggi dei vini (25 per i soci Fisar); o di 25 euro per la cena e gli assaggi dei vini.
Info e prenotazioni Villa Olmi Resort, tel. 055 637710; frontdesk.villaolmi@toflorence.it
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