Se si sdogana il rosato per le festività il gioco è fatto, ovvero se si superano i preconcetti di qualità si  guadagna un posto sulle tavole delle feste. E l’ho chiamato rosato per farlo capire a tutti, anche se la tendenza attuale è definirlo vino rosa, come d’altronde il vino bianco e il vino rosso.

Stavo appunto leggendo dei dati sul consumo di rosato in Inghilterra, dove si è assistito a una impennata nei consumi durante il 2020 e tale trend sembra proseguire anche in previsione delle festività. Facciamo un viaggio internazionale: negli USA bere rosato è una tendenza chiara  da diversi anni, la Francia,  che oltre a essere il principale paese produttore è anche il secondo per consumo interno ne è affezionata ambasciatrice, la Germania mostra gradimento costante per questo prodotto, così come i mercati del nord Europa. In Italia e Spagna, gli altri grandi produttori di vini rosa i consumi sono più modesti. Perché? Esistono dei pregiudizi legati a vari fattori.

vini rosatiIn Italia resiste ancora una idea di stagionalità legata al rosato: si tende a preferirlo in estate, già da settembre si torna ad abbandonarlo. L’idea che si cela sta in un prodotto ritenuto facile e immediato, in una parola: estivo.  Si beve rosato in risposta a una richiesta di semplicità, del bere senza impegno: né economico, né cerebrale.

Ma c’è anche dell’altro; spesso si accosta l’idea del rosé ad un sottoprodotto del vino rosso: il rosato da salasso che serve in realtà a concentrare il rosso sul quale si punta. (ho letto una bella definizione: considerare rosso e rosato da salasso come due co-prodotti di uno stesso processo.) Quando viene fatto come salasso lo ritengo inutile, un inserimento inutile di alcol in corpo. Manca di piacevolezza olfattiva, poco equilibrato in bocca, magari bevibile ma senza la marcia in più che lo porta ad essere scelto.

Tuttavia, l’interpretazione del consumatore di prodotto semplice non sempre corrisponde alla realtà. Il rosato a detta di chi lo produce non è così semplice: l’essere schiavi della tonalità di colore porta a lavorazioni tecnologiche che devono essere molto precise, ovvero, quando si raggiunge la tonalità desiderata si interrompe la macerazione. Poi però i successivi trattamenti che il vino subisce per la chiarifica e stabilizzazione, hanno forte impatto sul colore rosa, insomma lo alleggeriscono, lo decolorano un po’: una operazione commerciale mirata a giustificare rosati tecnologici sempre più scarichi

 È tutta una questione di colore; il consumatore lo sceglie in base al colore, che di conseguenza diventa il punto critico della vinificazione. Oggi la domanda è rivolta ai rosati pallidi in stile provenzale, soffrono invece i rosati più colorati, i rosa cerasuolo per dirla tecnicamente. Ma perché? Dipende dalla fascia di prezzo, il colore intenso è voluto ammesso nei vini economici, quelli più complessi vanno a mimare i vini bianchi alla vista, mettendo in crisi il ristoratore che li deve servire: intriganti i risultati ottenuti da ricerche di mercato sul consumatore finale. Dai risultati ottenuti, si evince che i rosati più scuri sono percepiti come vini più dolci, con residuo zuccherino, mentre il rosa pallido è accostato nell’immaginario a un prodotto secco.

In Italia non abbiamo grosse questioni aperte tra vini dolci e vini secchi. Per noi il vino è secco, punto.

Poi ci sono i vini dolci come categoria a se’ stante, con una loro funzione e un loro spazio nel pasto o fuori. Ma gli altri mercati in cui il consumo del vino con residuo zuccherino è più comune rispetto a noi, il colore può essere percepito come sinonimo di zucchero: quelli più scuri = più dolci, quelli più chiari= più secchi. Per estensione potremmo dire: più pallido è meglio è?

In altre parole, il colore riflette la bontà di un vino rosato? Si, ma solo se il rosa perde lucentezza allora si qualche domanda sulla fu acidità del prodotto in questione ce la possiamo fare, ma non di certo la tonalità può essere ritenuta fattore qualitativo.

Per cui, se anche in Italia si risente di questa moda, è semplicemente per emulazione, non certo per reali motivi esistenti.Altro aspetto a favore del bere rosé: il prezzo. In genere, anche se le dovute eccezioni esistono e le tratteremo in seguito, i rosati riescono a spuntare prezzi competitivi a fronte di una qualità interessante.

Questo influenza anche la vastità del pubblico che può approcciarsi a questi prodotti, non di rado molto graditi tra i più giovani. In questo caso l’unione della beva non impegnativa ad un costo abbordabile non si traduce in un vino scadente, tutt’altro.

Questo non significa che i rosati vadano a soddisfare solo un pubblico meno esigente.

Questi prodotti hanno dalla loro parte la versatilità, la bellezza visiva che già appaga alla vista, la franchezza dei profumi piacevoli e fragranti di frutta fresca, erbe officinali e balsamiche. Al palato se la giocano su freschezza e acidità e talora, nelle versioni più scure un tannino appena accennato che ne definisce bene il gusto.

E’ quella dei vini rosa solo  una moda passeggera? No, non credo tali vini  offrono la terza via, che non è un compromesso tra bianco e rosso, ma una valida alternativa.

Certo, ha fatto scalpore la vendita ad un’asta di beneficenza del Muse de Miraval, il rosé della cantina di proprietà di Angelina Jolie e Bradi Pitt a 2600 euro, ma lo si può ordinare online ad un decimo della cifra. Prodotto solo in magnum, con uve Grenache, Cinsault e Rolle, matura in botte per assumere maggiore complessità senza perdere in freschezza. Senza arrivare a tanto, mi è piaciuto molto il Cicale 2019 della Fattoria Sardi di Lucca, sangiovese e vermentino, ricco di gusto , dove la bocca non delude certo dopo il bagaglio aromatico intrigante di mandarino e susina. Di tutt’altro genere, ma avvincente il Cerasuolo d’Abruzzo rosé 2019 di Emidio Pepe dove la parte vegetale di erbe aromatiche arricchisce il bouquet classico di lamponi e ciliegie, ed il palato è sorpreso per la ricchezza della materia. Il floreale della viola prevale nell’Etna Rosato 2019 di Girolamo Russo, ma anche ribes e lampone danno il loro apporto; sapidità e bella persistenza soddisfano la bocca. Da provare l’Agathe 2019 di Corte Sant’Alda, prodotto con uva molinara, affinato in anfora. Al fruttato si unisce il minerale, in bocca ha materia e sostanza , convincente senza opprimere.

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