Eppure dovrebbe essere un argomento sul quale discutere in forme civili e divertenti, il vino: mica è così. Purtroppo è diventato un mondo nel quale si incontrano fondamentalismi estremi, visioni opposte, rabbia perenne. Eppure sarebbe tanto semplice aprire la mente e dialogare evitando di creare perenni lotte di religione. Prendiamo la questione dei vini “naturali”: un terreno di battaglia che lascia polemiche infinite, e tutti a confrontarsi con la verità in tasca. Da critico enogastronomico, mi verrebbe da dire che se mi comportassi in questo modo con il vino, cosa dovrei fare con i ristoranti? Giudico solo quelli di cucina creativa perché non sopporto la tradizionale o viceversa? Non entro nelle pizzerie che fanno la pizza bassa perché non ritengo sia quella valida anche se milioni di persone la mangiano? Insomma, cosa impedisce ai “soloni” del vino che hanno la verità in tasca di assaggiare nuove realtà produttive o, altrettanto, perché i guerriglieri delle cantine brettate non vogliano approcciarsi a vini stilisticamente perfetti? Grazie al cielo siamo in un regime di libero mercato, e questo qualche degustatore sembra dimenticarselo, e se uno sceglie di produrre il vino con tecniche ardite o classiche saprà anche le conseguenze. Poi al degustatore il compito di descrivere il vino in questione e motivare il suo giudizio, parlando quindi per il consumatore, un po’ come deve fare il sommelier quando propone il vino a tavola, facendo capire al cliente se il prodotto potrà avere il suo gradimento. Invece si assiste a lotte nelle quali un commentatore deve insegnare all’altro come si vive al mondo, enologi che si accusano a vicenda di aver tradito la propria professione, imbarazzanti dibattiti dove nessuno si ascolta per parlare e urlare più forte dell’altro. Forse una sana immersione nella realtà delle persone normali, che scelgono cosa acquistare da bere per il loro piacere personale non farebbe male a nessuno.
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