I vini de Il Marroneto sono naturali.
C’è qualcosa che suona storto in questa frase; come se quei brunello tanto osannati dalla critica e dal pubblico intenditore, ritenuti a ragione un esempio di grazia e bellezza, non potessero esserlo. Come se facessimo fatica a accettare che tale precisione sia impossibile senza una maniacale manipolazione, e che 100 punti per Wine Spectator e vino naturale non potessero coesistere nella stessa frase.
Ho visto la cantina, le vigne, ma soprattutto ho ascoltato il racconto di Alessandro Mori e condivido la sua conclusione sensata: boh se non sono naturale io, allora dimmi te cosa lo è? Battute a parte secondo me ha ragione.
E’ una naturalità che non sposa alcuna filosofia, se non quella del rispetto della terra e dei suoi frutti, in questo caso l’uva.
Il titolo è provocatorio, d’accordo, ma seguiamo il racconto di Alessandro, che mi limito a trascrivere. Poi ognuno potrà trarre le sue conclusioni.

Vista sulla Val d’Arbia dal vigneto Madonna delle Grazie
Un po’ di storia
Il Marroneto era una proprietà della curia, fino a quando il nonno di Alessandro nel 1974 acquistò il podere, e non c’erano vigne! In effetti all’epoca Montalcino non era così rinomata per il vino come lo è adesso. L’intenzione del nonno, senese, era acquistare un pezzo di terreno da cui poter vedere anche in lontananza Siena, la sua amata città. Detto fatto, tramite un amico prete, viene portato in visita qui, in quello che era un antico essiccatoio per le castagne, con annesso stalletto per gli animali allevati dai fraticelli. Qui la vista è mozzafiato: non si vede solo Siena, ma si gode di una vista a 180°C sulla Val d’Arbia e poi a est sulla Valdichiana, fino a Pienza e Montepulciano. Il nonno si innamora a prima vista di quel panorama e acquista, ignaro di trovarsi proprio di fronte all’allora “sconosciuta” collina di Montosoli. Ignaro che da quei terreni di lì a breve sarebbero nati due vini iconici. La prima vigna fu impiantata da Alessandro e da suo fratello, sotto casa, circa 1.8 ha di vigneto, il Madonna delle Grazie, da cui si ottiene l’omonimo vino, che prende il nome dalla chiesetta confinante con la proprietà.

La chiesetta della Madonna delle Grazie, da cui prende il nome il vigneto
Dal vigneto alla cantina
Un passo per volta gli impianti sono cresciuti e ad oggi si sviluppano su un totale di circa 7 ettari. “Siamo 7 persone per 7 ettari”, 7 sposi per 7 vigne sorelle. “Non ci interessa crescere di più al momento, perché queste sono le nostre forze”. E la forza di questi vini così belli è frutto della conoscenza perfetta di ogni singola vite. “Se avessi il doppio degli ettari non potrei avere la stessa attenzione che oggi dedico ad ogni vigneto. Le viti curate senza essere stressate per produzione vivono tanti anni. Infatti noi non sostituiamo mai le viti, a meno che non muoiano per eventi traumatici esterni”; a me questa frase piace, non so a voi. La selezione delle uve è fatta in vigna, attraverso più passaggi; al Marroneto non esiste tavolo di cernita. Dai ditemi che anche voi fate fatica a immaginare il Marroneto senza tavolo di cernita. È come immaginare un mondo with no possession, I wonder if you can. È perché le uve arrivano già scelte e quindi non ce n’è bisogno. Semplice.
Le uve raccolte sono diraspate e lasciate riposare per un giorno dopo la vendemmia. Poi attraverso un rimontaggio, i grappoli passano attraverso la pompa che opera una sorta di lacerazione sulla buccia. Con la prima rimonta si ottiene quello loro chiamano il “brodo primordiale”, perché è un succo denso e pastoso. Quel brodo va in botte e si avvia la fermentazione con i lieviti naturali. Seguono rotture del cappello quotidiane, anche più volte al giorno, con rimontaggi. Dopo un mese la svinatura per togliere vinacce, che non vengono buttate, ma introdotte in contenitore di acciaio, dove man mano viene aggiunta la feccia delle successive svinature. “Io non butto via niente. Cosi mi hanno insegnato i miei nonni; recuperando il tutto io rispetto davvero il frutto di questa terra”. Dalle fecce che man mano si compattano esce altro vino che viene rimesso nelle botti. Le fecce vengono addirittura torchiate e il torchiato recuperato. Sembra di stare in un altro tempo, “ma non è un tempo del passato, è un tempo proiettato avanti nel futuro” (cit.).
Ho assaggiato il vino spillato dal fermentino contenente le fecce. Profumo intatto, neanche vagamente corrotto da sentori acetici o altro. Non vorrei offendere nessuno se dico che la vera sorpresa in questa visita è stata proprio questo assaggio. Le fecce son fecce, anche quelle nobili, così ho imparato a forza di visite nelle cantine; per questo sempre meglio separarle dal vino al momento opportuno; ma se tale nobiltà non è corrotta, allora conviene spremerla, e recuperarne le tante preziose ricchezze. Sembra weinpolitik e invece sono fecce. Anzi è rispetto per la materia uva nella sua totalità.
Per la vinificazione si usano solo botti, le stesse da sempre. Da questa cantina non escono mai botti; qui le botti entrano e basta. Non chiedete a Alessandro ogni quanto cambia i legni o vi risponderà: “chiedimi ogni quanto cambio un trattore?”, che per altro non entra in vigna da anni, come tiene a precisare: “è dall’Ottanta che in questi filari non ci passa un vomere, o altri mezzi a disturbare”. Tutto questo a me sembra molto naturale.

Le botti nella cantina
La cantina non è termoregolata.
Il non controllo della temperatura consente non una evoluzione, ma una vera stagionatura del vino, ovvero il vino subisce il passare delle stagioni. Questa è la magia della natura; la mano dell’uomo può aumentare o diminuire acidità o altre componenti ma non può sostituirsi alla naturale evoluzione, la lenta polimerizzazione dei tannini dettata da condizioni spontanee. La setosità dei tannini di cui tanto si parla nei vini del Marroneto è il risultato di tutto questo. Non solo. Lasciar fare ai tempi della natura permette anche di ottenere vini con una struttura estremamente stabile nel tempo, perché non è stata creata artificialmente, ma è la migliore creatasi in funzione delle condizioni vigenti.
Il vino pulito è frutto di pulizia
Qui si pulisce tanto. Almeno 3 lavaggi del legno all’anno; il vino travasato in acciaio per il tempo della pulizia interna delle botti, fatta con idropulitrice: acqua bollente e acqua fredda a intermittenza; così i pori si dilatano in funzione dello shock termico e quindi si riesce a pulire perfettamente il legno.
Nessuna barrique. Nessuna anfora. Nessun progetto di espansione. Nessun Brunello Riserva. I vini del Marroneto sono sempre stati due (ad eccezione di una sola annata, la 2013, in cui uscì una Riserva in formato magnum): Brunello e Brunello Madonna delle Grazie.
Sono vini capaci di entusiasmare, sono vini naturalmente perfetti.
Brunello di Montalcino Il Marroneto 2016 Trasparente, rubino brillante. Bouquet ampio e intrigante, tra floreale di iris, ciliegia, alloro, ginepro, terra, cuoio e ogni olfatazione regala un profumo diverso. Già in equilibrio al gusto tra acidità importante e quasi piccante, e tannino perfettamente integrato. Sorso gustoso, nel senso di gusto impressivo, incredibile slancio gustativo finale di minerale, grafite e scia sapida che ne invoglia il sorso successivo. 97
Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2016 Trasparenza incredibile, Trionfa la frutta fresca di ciliegia, mora, mirtillo, poi tabacco, speziatura gentile di pepe e cannella. Trama tannica setosa, bocca fresca e succosa, dal finale infinito. Magnifico 98

I Brunello di Montalcino de Il Marroneto
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