“No, in casa no, che dopo la cucina puzza!”: con questa frase qualunque velleità golosa di mariti imbranati nel cucinare veniva bloccata da mogli che, in questo modo, avevano  un’ottima occasione per andare fuori a pranzo o cena. Oggi i tempi sono cambiati, gli appartamenti rimpiccioliti, quasi manca la cucina e quindi di friggere non se ne parla proprio; se poi valutiamo anche la deriva salutista, chiaro che il fritto lo lasciamo alle occasioni importanti. E quindi, il ristorante diventa la meta obbligatoria. Come fare però il fritto misto? E come riconoscerlo? In Italia i più famosi sono quello torinese, il milanese, ma anche quello emiliano non scherza. Partiamo da cosa: carni bianche, verdure, e qualche eccezione curiosa come la crema pasticcera, ma anche frattaglie come il cervello, assolutamente indispensabile per gli amanti del genere. La carne se disossata ha un risultato migliore in cottura: hai voglia a dire che la tradizione vuole l’osso, poi se rimane al sangue e la carne poco croccante dispiace..Tipo di panatura: alla milanese prevede farina, uova pangrattato, altrimenti solo i primi due passaggi, talvolta si procede con farina di mais, altrimenti senza uovo e utilizzando una pastella dove possono entrare birra, latte o albumi montati a neve. Grasso utilizzato per friggere: olio extravergine di oliva altrimenti di semi di arachide, oppure burro chiarificato o anche strutto. Da tale descrizione si evince che il lavoro del fritto misto è di lunga preparazione ed impone il sacrificio di chi cucina, che deve cuocere e servire, senza far aspettare il fritto su tavolo, pena la perdita di fragranza e croccantezza. Ma oggi è ancora politically correct mangiare il fritto senza sentirsi in colpa? E voi qualche ricetta alternativa di pastella? O meglio cosa siete riusciti a friggere di particolare? La bistecca l’hanno già fatta…

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