Sarà perché ho avuto un padre che il contadino lo ha fatto davvero, e dai suoi racconti ho un ricordo di una vita dura e non certo allegra, sta di fatto che tutti questi richiami di politici e guru(ma oramai Carlo Petrini lo facciamo prima a definire nuovo Messia) al tornare a lavorare in campagna mi lasciano sempre molto perplesso. Intendiamoci, l’alienazione di una catena di montaggio è assolutamente terribile, sono d’accordo, anche perché spesso le fabbriche sono inserite in un contesto urbano assolutamente spersonalizzante, e sono contento di non doverci entrare. Da lì, però, a proclamare che il futuro debba essere quello di lavorare nei campi, ce ne corre. Ora, non è necessario dover affermare che uno prima di parlare debba provare a fare certi lavori, ma io rimango convinto che il luogo dove si è formata la cultura e la civiltà di un popolo rimane la città, che sarà anche triste in certi momenti, ma permette un confronto ed un dialogo che in campagna non è facile trovare. Sarà per questo che una persona si ritira in campagna quando ha bisogno di calma e silenzio, per poi però rituffarsi nella bolgia urbana , dove riceve la scarica di adrenalina necessaria per sentirsi vivo. A volte diventa il preludio della morte, quando uno si ritira in campagna quando va in pensione, quasi non avesse più voglia di impegnarsi in vita. Il contadino è un lavoro che si deve scegliere perché lo si ama fortemente, come il cuoco o il cameriere, tanto per rimanere in tema, non lo possono fare tutti. Ma a qualcuno fa comodo dire così..

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