40 anni fa si insegnava nelle scuole alberghiere già in prima: dopo il fondo bianco, il fondo bruno, il brodo, ecco il consommé, l’incontro con una preparazione che aveva già colpito noi allievi, piccoli affamati di sapere, desiderosi di conoscere cosa si celava dietro una definizione che faceva palesare scenari interessanti: in italiano, brodo ristretto non aveva lo stesso effetto.  Certo, qualcuno di noi era rimasto deluso 250px-Consomme_de_volailledall’assaggio dell’omelette, probabilmente non ben fatta dall’allievo di turno,  che l’aveva fatta paragonare ad una semplice frittata, ma l’incontro con il consommé fu tutt’altra cosa. In classe tutti avevano qualcuno che cucinava a casa, l’idea del brodo corroborante era ben chiara, ma portare alle labbra la tazza di quel liquido reso scuro da un’aggiunta per noi incredibile, il jus de Paris, aprì un nuovo mondo gustativo. Non mi era mai stato possibile nemmeno immaginare di diventare goloso di un liquido, quando a 14 anni mangeremmo volentieri cofane di pasta e dolci, ma allora accadde. Partendo dal brodo classico, con circa tre ore di cottura, gradevole ma ancora inteso come base di partenza per altre preparazioni, ecco che si dovette assistere alla trasformazione di uno strano impasto che ci aveva fatto preparare il professore: carne trita, Marsala, erbe aromatiche ed odori classici, quindi albume d’uovo. Si, anche un paio di grani di pepe e forse un paio di chiodi di garofano, il primo consommé lo ricordo ancora. consome-4Passate due ore, ecco l’aggiunta del brodo bollente, e la formazione del “pane” del consommé, ovvero una sorta di polpetta tenuta insieme dalla chiara d’uovo, che galleggiava in superficie e che non doveva essere spaccata. Un’ora di tempo ed il tutto era pronto, di nuovo il colino cinese e l‘étamine, il panno immacolato per filtrare ogni impurità. Il colore limpido e dorato era già di per se’ affascinante, ma quell’aggiunta il professore la volle fare in tutti i modi: zucchero bruciato, che aveva perso il gusto ma così ridotto diventava un colorante naturale, questo era il jus de Paris. Di tutte le guarnizioni quella più complessa era affascinante, la crème Royale, uova, latte, parmigiano, panna, cotta in forno come fosse crem caramel, quindi fatta a cubetti e messa solo all’ultimo in tazza. Un sapore della memoria, che ora sarebbe davvero interessante riprovare. E se tornasse nelle carte?

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