Rieccomi in Friuli. Questa volta sul Carso Goriziano. Ho già raccontato tutto il sentimento e il rapimento che mi provoca questa terra, che si appiccica addosso come una sorta di mal carsico che mi porto appresso sulla via del ritorno quando sento di essere lontana. Perché si, il Carso è maledettamente lontano, come è giusto che sia, mi ripeto, seppur con poca convinzione. Le cose belle non sono mai a portata di mano, si sa.

Castelvecchio: vista sulle Alpi innevate dal vigneto Torretta
Scendo dal treno a Trieste aeroporto, dove mi aspetta un’amica. Ad accogliermi quel venticello tipico di queste zone, capace di sollevarti di peso da un momento all’altro e di farti entrare il freddo fin dentro le ossa anche con tre strati di vestiti in poliuretano espanso. Insomma un benvenuto di quelli schietti, tanto per testare davvero l’amore di cui parlavo. Ci sono sempre venuta in estate, il pressure test invernale con bora mi spettava. Sono sempre più innamorata di questi luoghi.

Castelvecchio: passeggiando in vigna
Mi trovo a Sagrado, paese affacciato sull’Isonzo, in visita all’azienda Castelvecchio. Non so a voi, ma a me questi nomi di paesi e luoghi e fiumi si sono tatuati nella memoria dalla scuola media. I luoghi della Grande Guerra, che quando arrivi qui capisci ancora di più quanto è stata grande, dura e incancellabile. Sono particolarmente sensibile nei confronti di questo periodo storico per motivi familiari e ho aspettato un po’ a scrivere di questa visita, onde evitare scivoloni melensi e prevedibili.

Castelvecchio: la facciata della Villa Valsassina-Hofer-Hohenlohe
Si perché Castelvecchio è intriso di quella storia; la settecentesca Villa Della Torre di Valsassina-Hofer-Hohenlohe, cuore della tenuta, divenne al tempo della guerra, ospedale militare e ancora ospita al suo interno le scritte sui muri dei soldati e dei feriti, volutamente lasciate intatte dalla ristrutturazione come testimonianza storica inestimabile.

Le scritte sui muri della Villa divenuta ospedale militare nella Grande Guerra
La famiglia Terraneo, attuale proprietaria di Castelvecchio, porta avanti da decenni un progetto non solo agricolo ed enologico, ma anche storico e culturale, che ha visto la realizzazione del Parco Ungaretti inaugurato nel 2010, dedicato al poeta e alle poesie del Porto Sepolto scritte quassù nel suo primo anno di guerra.

Parco Ungaretti
Durante la passeggiata in vigna mi hanno raccontato della lunga opera di bonifica di questi terreni dagli ordigni di guerra, tuttora non conclusa, poiché ogni tanto nel lavorare i suoli si incappa ancora in qualche residuo bellico.
Castelvecchio si trova su una sorta di terrazza a 145 metri di altezza, che rappresenta il primo balzo carsico, che si affaccia sull’Isonzo e sulla piana a ovest fino al mare, il confine sloveno a est e alle spalle le Alpi. Da qui si ammira un panorama incredibile a 360 gradi, da cui l’importanza strategica durante la guerra.

Il cunicolo che porta alla barricaia, un corridoio della Grande Guerra
L’azienda conta 120 ettari in un unico corpo aziendale, con i vigneti -circa 30 ettari- in blocco adiacenti alla storica villa, circondati dal bosco. Qui il terreno è poco profondo, argilloso e ricco di ferro, una sottile striscia rossa che poggia sulla roccia carsica. Nonostante la ricchezza di argilla non siamo in presenza di terreni pesanti, causa la scarsa profondità e soggetti a forte siccità per la presenza della roccia carsica sottostante altamente drenante. Qui le viti soffrono la carenza d’acqua (tanto che l’irrigazione nella DOC Carso è consentita) e sono costantemente colpite da venti più o meno forti che caratterizzano la zona. E poi vicinanza alla montagna e quindi escursione termica importante. Insomma non è certo una questione di marketing la fama dei vini del Carso e la loro indiscussa bontà.

La terra rossa carsica
Vini in degustazione
Carso Vitovska 2021: soltanto acciaio e una macerazione di poche ore per questa vitovska essenziale, lineare, dalla bocca dinamica, ma ordinata nello sviluppo. Aromi di frutta tropicale accennati e buccia di mela, cenni di cera d’api e corbezzolo. Bocca sassosa come ti aspetti e desideri. E questa vitovska a posteriori torna a farsi desiderare, parlo per esperienza 😉
Carso Malvasia 2021: specchio fedele del territorio nella sua forza sapida incredibile e varietale deciso, che si esprime con acqua di rose, fiori freschi, ananas e albicocca disidratata. Un lungo e piacevole finale agrumato completa il sorso spesso e cremoso. Mi hanno sapientemente servito del prosciutto di Cormons, e con questa malvasia potrei andare avanti per ore, a distruggermi di felicità.
Carso Sauvignon 2021: dritto e deciso nel varietale verde che si arricchisce di belle note di pompelmo, dragoncello e ortica. Agile in bocca, quasi si scarnifica, un sorso minimalista sostenuto dalla vibrante acidità che sul finale riporta una grintosa aromaticità di frutta, su tutte la pera. E’ il sauvignon da bersi a due mani, alias alla goccia.
Carso Terrano 2020: in franchezza ammetto di bere terrano solo quando sono in Carso, per cui è quel vino che sancisce definitivamente che son quassù e per questo gli voglio bene a prescindere. Colorato, violaceo, impenetrabile alla vista, profuma di viola, geranio, glicine e ferro, figlio del terreno rosso su cui cresce, è sanguigno e dall’acidità succosa. Domina la freschezza sul tannino contenuto, che rende il sorso goloso. E’ sempre l’ora della merenda con il terrano; dice che questo vitigno è sempre stato considerato “salutare”, proprio per il suo contenuto in ferro, la cui assimilazione da parte dell’organismo è favorita dalla componente acida del vino stesso. Ma noi non avevamo bisogno di scuse o buoni motivi per berlo 😉
Carso Refosco dal Peduncolo Rosso 2020: col refosco non sono in sintonia, è un vino che mi rimane difficile, un tantino ostile da sempre. Il sorso è in questo caso decisamente aggraziato, ricco e di spessore, con un finale amaricante caratteristico. Al naso è profondo e scuro, cenni balsamici di ginepro, caffè e frutta sotto spirito. La maturazione di due anni in legno gli dona una gradevole speziatura non invadente.
Carso Di Leo cabernet sauvignon 2018: spesso e consistente, dalla trama tannica fitta e saporita; in chiusura si concede a qualche “dolcezza” aromatica, di ciliegia nera, mora e spezie. Al naso è ampio, riconoscibile nei cenni vegetali classici e il legno è ancora in evidenza nelle note calde di vaniglia.
Sagrado Rosso IGT 2018: tra i vini di punta dell’azienda è una cuvée di cabernet sauvignon, franc e terrano. Quest’ultimo quasi a rinforzare un legame antico con questa terra, pur in modesta percentuale -circa il 10%- mi ha dato come la sensazione di voler smitizzare i due inossidabili giganti della cuvée. E’ chiaramente un vino di spessore, quello che si dice un vino per le occasioni importanti, ma non per quelle occasioni che alla fine non si presentano mai. Non so se riesco a chiarire bene la sensazione; ci sono vini importanti che alla fine non si bevono mai, perché sono importanti pure troppo. Ecco l’impressione del Sagrado 2018 non è stata questa. Anche il cabernet franc ci ha messo dalla sua l’intrigante peperone accennato, mirtillo, macchia mediterranea con elicriso e cisto, cuoio, ritorni di ginepro e di nuovo quella sensazione ematica probabilmente frutto del terreno, e una vaga sensazione di terra bagnata che evoca doline e grotte carsiche. Un vino di carattere ma senza intimorire. Evviva!
Credits: Castelvecchio
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