Lasciate perdere l’amore a prima vista, che neppure esiste secondo la scienza, ma trattasi di una roba per romanticoni illusi o scrittori a corto di idee, e concentratevi sull’amore al primo sorso, che invece esiste eccome, in barba alla scienza, e in gola agli assetati. Amore al primo sorso in soldoni significa gioia e talvolta capita. per esempio con un cannonau.
L’incontro
“Dai prendi anche questo, assaggialo!”
“no dai, un cannonau in carta qui sulle colline del Chianti Rufina, lo vedo complicato”
Insiste. La voce dell’insistenza è quella del nostro spaccino di-vino*, da cui acquistiamo alcune bottiglie per il ristorante.
Poco convinta mi prendo 3 bottiglie di Bàsca e le porto al ristorante. Ne prendo una e la apro. L’etichetta mi piace, anche se non ne colgo a pieno il senso, e anche se continuo a nutrire dei dubbi su come proporre un cannonau tra i monti della Rufina.
Verso.
Sbaaang! Rubino granato, trasparente, di una brillantezza che mi lascia stupita. Ma dai! esclamo sotto i baffi (che non ho..), e bevo.
Doppio sbang! E’ buono che diamine. Ne verso ancora e riassaggio come ad aver bisogno di una conferma: magari al primo sorso ho preso una cantonata. Beh al secondo sorso mi pare addirittura buonissimo, più che cantonata, posso affermare di aver preso una vera tranvata.
Lo faccio assaggiare alla mia collega e con la scusa ribevo. Felicità al palato. Lo faccio assaggiare anche a chef e con la scusa bevo un’altra volta. Stessa felicità.
Come è andata a finire? Non l’ho messo neppure in carta, Bàsca è andato diretto nell’abbinamento vini che accompagna il menu degustazione al ristorante. Lo propongo da ormai 4 mesi e regolarmente lo assaggio prima di servirlo ed è ogni volta la stessa felicità incredula come al primo sorso.
Pedra Niedda, Bàsca 2018: Isola dei Nuraghi rosso
Cannonau, da vigne ad alberello provenienti da 2 vigneti distinti nelle zone di Isili e Morgongiori ai piedi del Monte Arci. Qui i terreni sono scuri, quasi neri per la presenza di ossidiana, pietra lavica nera (da cui il nome dell’azienda), derivante dalla solidificazione veloce del magma, prodotto dall’attività vulcanica che in tempi lontani ha interessato questa zona.
Ossidiana sui terreni del Monta Arci
Granato struggente di vitalità e brillantezza, profuma di rosmarino, terra, sangue e una lievissima nota di tabacco, quasi di fumo a certificare l’origine vulcanica. Ha bacche di mirto e frutto fragrante che si combina in un profumo pulito, fresco e invitante. In bocca entra snello, e poi l’esplosione come di vulcano che riscatta una iniziale apparente semplicità. ed arriva fresco, seguito da una salinità che gradualmente cresce esaltando il frutto croccante, e trionfa la mediterraneità delle erbe e delle bacche di mirto e ginepro. Agile e profondo, accompagna con una lunga nota di chinotto come a celebrare una eleganza naturale, intrinseca.
Discreto calore sul finale, calore piacevole, a dispetto del nome Bàsca che evoca l’espressione sarda “Ta Bàsca” , ovvero che caldo! quel caldo estivo che interessa l’entroterra sardo che a noi continentali delicati ci ustionerebbe solo al pensiero. Ma non è il caso di questo cannonau che se si gioca sulla temperatura di servizio può dare grande soddisfazione sia sulla tavola estiva che nell’inverno freddo e grigio.
Ringraziamento a Enrico Menicalli
Ma chi è costui? Enrico è un giovane agronomo toscano coraggioso, con lunga esperienza proprio qui nei vigneti della Rufina, poi qualche anno in Adzerbaijan e poi il nuovo mondo e l’esperienza di agronomo in Australia. Ed è proprio in Australia, nell’aprile del 2016, degustando un riesling della McLaren Vale che Enrico e la compagna Susanna, di origine sarda, decidono di rientrare in Italia, riprendere i terreni di famiglia di lei in Sardegna, quasi abbandonati, e coraggiosamente realizzare un sogno: le loro vigne e i loro vini.
Due vini per l’esattezza, Bàsca il cannonau e Tittìa il semidano. Opposti ma uniti nelle radici sarde, l’uno rosso, l’altro bianco, l’uno caldo l’altro freddo. Infatti Tittìa è l’espressione sarda per dire Brrr che freddo! che gli isolani pronunciano quando la temperatura si approssima appena ai 10°C sopra lo zero, mentre i continentali ancora girano in sandali. A ognuno il suo.
A Enrico i complimenti e l’augurio di farne tanto di Cannonau per la gioia di molti e anche mia.
L’etichetta spiegata da Enrico: un simbolo, una clessidra, ovvero il tempo che passa, ma anche il tempo naturale delle cose, perché ogni cosa ha il suo tempo: l’uva per crescere, il vino per maturare ecc.
Una curiosità: Bàsca al ristorante è abbinato a un piatto chiave, fatto di brace, una faraona che si impregna per ore di fumo di carbone di legna vera e poi viene braciata per pochi minuti sui carboni di quercia e rosmarino. Vulcano chiama fuoco e brace risponde.
Credits: Tenute Pedra Niedda; sardegnaturismo.it
I commenti sono chiusi