Nel cuore delle Langhe, a Diano d’Alba, da tre generazioni la famiglia Abrigo produce vini DOC e DOCG da vitigni autoctoni e nocciole del Piemonte IGP.
La produzione è oggi investita dal vento del cambiamento della nuova generazione, i giovani Giulio e Sergio, che con entusiasmo spendono le proprie competenze nell’impresa familiare. Piemontesi doc, testa sulle spalle e pochi grilli per il capo, sperimentano con cautela nuovi modi di interpretare i vitigni autoctoni, senza perdere di vista la tradizione tramandata dai nonni e l’obiettivo mandatorio di riempire il calice con il terroir.
La presentazione dei vini Abrigo avviene durante un pranzo da Burde, trattoria storica della prima periferia di Firenze dove gira sempre un gran numero di persone ma la privacy è sempre garantita.
Erano anni che non ci tornavo, ma appena entrata ho riconosciuto il profumo del luogo, i rumori e la luce del sole assorbita dai vetri smerigliati e dalle pareti rivestite di legno chiaro, che mi hanno sempre ricordato le ville fiorentine. Il menu è il classico dei classici di Burde, antipasto toscano e fiorentina con i contorni della tradizione: fagioli cannellini, buglione di verdure ed erbette. Qualcuno non resiste alla tentazione dei pici, che qui offrono anche conditi con la variante, dura e pura, di ragù di prosciutto. Mentre gusto la bistecca e la accompagno con la verticale di Barolo, mi perdo nel fantastico mondo del vino capace di asciugare la succulenza della carne. E niente: la bistecca di Burde è spaziale.
Dolcetto di Diano d’Alba DOCG Sorì dei Crava – Menzione Geografica Aggiuntiva 2020, solo acciaio.
Uve provenienti dal vigneto del “solatìo” (sorì, in dialetto piemontese) annesso alla cascina dei Crava, di proprietà della famiglia Abrigo dal 1968. Rubino bello violaceo, al naso è inizialmente timido, lasciando presagire un mosaico di frutti rossi. Poi apre con gelatina di fragola, giaggiolo e un accenno di glicine. I tannini fini e l’impronta decisa di freschezza accompagnano al finale piacevolmente ammandorlato, che tuttavia non persiste. Da provare con la tartare di fassona (senza uovo).
Dolcetto di Diano d’Alba DOCG Superiore Garabei – Menzione Geografica Aggiuntiva 2020, vinificazione in acciaio e maturazione in cemento. Minimo 6 mesi di bottiglia prima dell’uscita sul mercato.
Rubino scuro e compatto, libera profumi di ciliegia marasca, ribes rosso e ibisco. Dopo arrivano aromi profondi, intensi, di china, polvere di caffè e scatola di sigari. Rispetto al fratello “Sorì dei Crava” dimostra maggiore personalità, anche nella chiusura, più saporita e persistente. Non ho mangiato i pici di Burde, secondo me l’abbinamento sarebbe stato top.
Barbera d’Alba Superiore DOC Rocche dei Frisu 2018, 6 mesi in botte di rovere francese o tonneaux, poi cemento per circa un anno prima dell’imbottigliamento, a 20 mesi dalla vendemmia. Infine, sosta in bottiglia per minimo 6 mesi prima della commercializzazione.
Al naso è subito ciliegia sotto spirito, cui seguono, senza spingere, piccoli frutti rossi e melagrana, con impronte floreali di rosa canina. Chiude il ventaglio olfattivo un elegante connubio di chiodi di garofano e foglia di tabacco. In bocca avverto la bella spalla acida che garantisce freschezza, con tannini levigati e composti. E’ la Barbera che vuoi aprire di martedì sera, con la bistecchina di maiale alla griglia.
Barolo Ravera DOCG – Menzione Geografica Aggiuntiva, vinificazione in acciaio con lunga macerazione post-fermentativa, maturazione 20-24 mesi in botti di rovere e affinamento in bottiglia. L’ampio bagaglio olfattivo testimonia le forti escursioni termiche della zona, che si sa, accentuano il corredo aromatico dell’uva.
2016 granato leggero con lieve trasparenza. Elegante, raffinato: mora di gelso, sottobosco, foglia del tè. Una beva liscia, senza spigoli, con richiami di ferro e un respiro balsamico di conifera. Trama tannica cesellata.
2017 Al primo impatto è fruttato e speziato: lampone, fragolina di bosco; noce moscata, liquirizia e incenso. Al gusto vibra di energia, e i tannini rotondi e lisci conducono a un finale lungo in cui torna il frutto.
2018 Meno spavaldo delle annate precedenti, qui i fiori e i frutti rimangono più nascosti. Sorprendono invece le note di resina e insistenti richiami alle erbe aromatiche e al tabacco, con un gustoso ricordo di polvere di cacao. In bocca prevale l’arancia rossa, e in chiusura si affacciano la china e il ribes nero, che rendono il finale piacevolmente saporoso.
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